E se accade (cosa possibile) che la Turchia ci tradirà dopo il suo ingresso nelle aree liberate, non farà una grande differenza.
Chiunque è dell’idea che sia possibile respingere una invasione turca al confine con una lunga linea difensiva, e che questa costituisca una logica conseguenza sotto il profilo militare, è in errore.
Anche se si verificasse un’invasione, al di là del contesto attuale che vede protagonista la Turchia, non è pensabile respingerla con una semplice linea difensiva.
Sarebbe piuttosto parte di una strategia globale che vedrebbe come scenario principale le zone al centro delle aree liberate.
Solo in caso ciò accadesse. Che Allah ci protegga.
E chiunque traccia un parallelo tra il permesso d’ingresso concesso ai turchi (come parte di un accordo stretto in maniera chiara ed esplicita al solo scopo di assumere tre postazioni di fronte alle milizie curde) e un’invasione turca in piena regola con gravi conseguenze, è allo stesso modo in errore.
Nessuno ha mai voluto intendere i movimenti turchi come un interesse desiderabile. Piuttosto si è trattato di accettare il male minore.
E nulla di quanto sta accadendo, per parte nostra, sul terreno al momento rientra nei piani di implementazione degli schemi di Astana come qualcuno vuole far credere. Certo, la Turchia vuole dimostrare alla Russia e agli altri partecipanti di Astana che sta svolgendo il compito assegnato. Ma non è quella la realtà.
Allo stesso modo, non è affatto corretto tracciare un parallelo tra Hayat Tahrir e Ahrar al Sham, dando per scontato che HT abbia fatto un torto ad Ahrar sulla base della circostanza che sarebbe partita un’aggressione a causa della sua partecipazione ad Astana.
I fatti sono ormai noti. Hayat Tahrir ha chiesto delle posizioni al confine vicine a quelle di Ahrar e lo ha fatto perché, basandosi su accadimenti passati che lo avevano visto vittima di tradimenti da parte dello stesso Ahrar al Sham, sapeva di non potersi fidare. Per questo motivo poi la battaglia si è allargata a Badya e Jabal Zawiyah. E ancora Ahrar ha continuato a combattere verso Sarmada, Salqin e dintorni. Finchè ha dovuto abbandonare il campo.
Anche se Hayat Tahrir avesse voluto deliberatamente iniziare un attacco contro Ahrar, non sarebbe stato nelle sue possibilità. E’ stato costretto a reagire all’aggressione iniziata da Ahrar al Sham.
E c’è una questione importante, che quelli che criticano il patto con la Turchia, hanno trascurato. Quanto fatto da HTS, stesso orientamento tenuto in passato da Jabhat Fath al Sham, che si è concluso con il patto che ha permesso l’ingresso della Turchia, è una reazione, o almeno un tentativo, di limitare le perdite causate dagli accordi di Ginevra e di Astana e anche di altri negoziati.
Non si tratta di una legittimazione di quegli accordi come qualcuno sta cercando di far passare.
Stanno cercando di far credere che quelli che si sono seduti ad un tavolo ad Astana per firmare un accordo e negoziare, compromettendosi al punto tale da indicare sulle mappe le posizioni di Hayat Tahrir da bombardare, hanno agito allo stesso modo di HTS che invece adesso sta tentando di porre un limite agli effetti di quelle trattative che si sono tenute al di fuori dei confini siriani.
Muhammad Nazzal (Abu Khattab Al Maqdisi) Ottobre 2017
Traduzione dall'arabo in inglese a cura di Sam Heller
A noi non interessa ciò che gli occidentali dicono.
Quello che ci sta a cuore è che venga applicata la legge di Allah l’Onnipotente.
La legge di Allah è completa. Copre una vasta gamma di casi e circostanze.
Noi non abbiamo bisogno che l’Occidente ci venga a fare lezioni sui diritti umani e su quelli degli animali. L’Occidente cerca sempre di prendersi vantaggi sfruttando gli equilibri in campo.
Loro vogliono che la terra di Sham sia governata da una minoranza e non da una maggioranza.
Una minoranza che loro possono facilmente tenere sotto il proprio controllo.
Perciò vogliono che Bashar Al Assad rimanga al potere.
E se ciò non sarà possibile, si accontenteranno anche di quello che rimane del suo potere.
Per questo motivo non permettiamo che l’Islam rimanga prigioniero delle accuse che l’Occidente gli muove. Abu Muhammad Al Jawlani Giugno 2015
Gli interessa eccome quello che pensano gli occidentali.
Alcune categorie almeno.
Sheikh Al Julani parla quando ha da dire cose concrete.
E prima di farlo ascolta molto.
Gli interessa non tanto nella misura in cui alcuni pareri possono cambiare i suoi principi o convincimenti, ma per usarli sul piano del confronto.
Ai tempi di Bin Laden le comunicazioni interne venivano trasmesse attraverso missive affidate a messaggeri in viaggio. Al pubblico erano destinati comunicati scritti o video messaggi. Per quanto il leader jihadista potesse essere abile nell’immaginare un dialogo con la sua controparte, non poteva avvalersi di un contraddittorio in tempo reale e nell’immediatezza degli eventi. Cosa che oggi, grazie ad internet, è di facile realizzazione.
La scissione di Nusra da Al Qaeda è stata discussa consultandosi con i vertici di Ansar al Sharia in Libia. A distanza di poche ore dalle dichiarazioni di Boyle su presunte violenze subite dalla sua famiglia nel corso della prigionia, è arrivato un messaggio in inglese da parte del portavoce dei talebani che ha rigettato in maniera molto articolata le accuse.
Lo stesso Al Julani non si limita a raccogliere umori e pareri sia sul terreno sia in rete.
Quando è necessario, fa in modo che fuoriescano notizie in maniera casuale, dei leak in apparenza involontari, per rafforzare la convinzione che le informazioni messe in circolazione sono vere.
Oltre al portavoce ufficiale, Hayat Tahrir al Sham dispone di un piccolo esercito di media people che sui social orientano le opinioni sulle vicende che vedono protagonista la formazione siriana. Il power sharing in ambito mediatico è un altro elemento di novità che ha cambiato e rafforzato la galassia jihadista.
Il messaggio pubblicato giorni fa da Abu Khattab sul suo canale Telegram è una testimonianza importante su come le guerre odierne vengono combattute abbinando le scelte operative alla comunicazione.
Hayat Tahrir si propone come gruppo dominante nel nord della Siria non solo in virtù dei suoi assetti militari, ma anche grazie all'abilità diplomatica. E tutto questo è possibile perchè si attiene rigorosamente ai principi del credo religioso senza scendere a compromessi come hanno fatto altri.
In questo modo è riuscito in un certo senso a congelare il patto di Astana.
La sua dimensione locale ha un'influenza sugli equilibri regionali ed internazionali.
Il monito alla Turchia può servire a gettare le basi per una ulteriore collaborazione.


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