Sai, vivere in Siria non è certamente come vivere in Occidente. Specie considerando il fatto che la Siria è attualmente un Paese del terzo mondo mentre l'Inghilterra è considerato un Paese all'avanguardia. Si può dire che mi mancano certi aspetti. C'è sempre la tendenza a sentire la nostalgia della civilizzazione.
Beh forse l'ho detto prima. Comunque lo ripeto.
Mi manca passeggiare sulla riva del mare. Quando arriva l'estate, hai veramente la sensazione che ti manchi qualcosa se non hai il mare. Amir Deghayes
Amir Deghayes non si è mai sottratto alla curiosità dei media. Ne ha anzi approfittato per spiegare le sue ragioni e quelle di quanti, all'indomani dell'inizio della rivoluzione, si sono uniti alla lotta per la liberazione.
La sicurezza ostentata nel corso della chiacchierata con Bilal Abdul Karim, uno dei pochi corrispondenti occidentali che dà voce ai combattenti dei gruppi islamisti in Siria, è piuttosto uno scudo costruito nell'ambito di un percorso difficile che lo ha visto trasferirsi dalla Libia in Inghilterra quand'era bambino assieme alla famiglia. Apparso molto più maturo dei suoi ventitrè anni, Amir è uscito dalla retorica di Hayat Tahrir, che in queste settimane si concentra sulla tenuta militare del gruppo sia rispetto a Daesh che alle milizie assadiste, fornendo un quadro di quella che è la situazione sul campo e senza mentire circa le difficoltà incontrate da HTS rispetto alle divisioni interne e al gradimento da parte della popolazione. In maniera lungimirante ha evitato di commentare sulla disputa sempre più tenace tra i vertici del gruppo e al Qaeda.
A Luglio di quest'anno una speciale commissione istituita per investigare sulle cause che hanno portato, tra il 2012 e il 2014, diversi ragazzi dell'area di Brighton con problemi a partire per la Siria, ha individuato nella poca conoscenza del fenomeno sia da parte dei servizi sociali che della polizia locale e nell'assenza di coordinamento, le ragioni principali della totale mancanza di consapevolezza da parte degli organi competenti, di quello che all'epoca era considerato una novità.
Decine di ragazzi si radicalizzarono e partirono abbastanza agevolmente per la Turchia, e di lì passarono in Siria, senza che la polizia nemmeno se ne accorgesse.
Nel caso dei fratelli Deghayes (Amir partì alla fine del 2013, seguito da due dei fratelli più giovani che furono uccisi dalle milizie assadiste) l'antiterrorismo parrebbe avere individuato gli indicatori che facevano intuire che qualcosa sarebbe accaduto, ma non lo comunicò alla polizia locale. I servizi sociali si sentivano anche impotenti poichè a fronte di situazioni difficili, non venivano messi a disposizione percorsi adeguati a questo tipo di situazioni. Non riuscivano ad andare oltre una semplice relazione conclusiva per segnalare casi critici. La polizia locale non li aggiornava sulle denunce. Lo scambio d'informazioni era scarso. Vi era poca collaborazione.
Arrivati a Brighton i Deghayes si erano dovuti confrontare con un ambiente ostile che li fece vittime di attacchi violenti. La loro posizione era resa più difficile dalla parentela con Omar Deghayes, un reduce di Guantanamo che ha vinto una causa milionaria per essere stato torturato senza che nemmeno alla fine fosse formulata un'accusa. Gli attacchi incendiari contro la casa dei Deghayes erano accompagnati spesso da slogan contro il loro zio. I fratelli di Amir, in una sorta di reazione a mo' di autodifesa, si unirono a bande criminali locali.
A ciò si aggiunse la violenza alla quale venivano sottoposti i ragazzi e la madre da parte del padre, il quale per lunghi periodi se ne tornava in Libia. I servizi sociali e la polizia si ritrovarono un quadro molto comune fatto di violenze e abusi con l'incognita rappresentata dalle origini della famiglia e dalla novità costituita dai conflitti internazionali in atto.
L'antiamericanismo manifestato dai ragazzi e le frasi contro gli ebrei non suonavano un campanello di allarme. I quattro fratelli, convinti del fatto che nessuno volesse aiutarli e anzi la stessa polizia fosse razzista nei loro confronti, smisero di denunciare e di chiedere aiuto alle autorità. Amir, che si teneva lontano dalle cattive amicizie e continuava con profitto il percorso scolastico, fece da baluardo alla madre che spesso si ritrovava per casa le bande criminali dei figlioletti. Fu lui a riavvicinare i fratelli all'Islam e a fare maturare in loro la consapevolezza che, la migliore risposta all'indifferenza occidentale e agli egoismi arabi, era la partenza verso la Siria allo scopo di ripristinare attraverso l'Islam la giustizia che il regno degli Assad ha oscurato.
La forza e la lucidità che da sempre caratterizzano Amir sono il frutto del travaglio subito a causa delle violenze e della difficoltà a trovare se stesso in un contesto adeguato.
La maturità con la quale espone le sue idee politiche i principi religiosi che stridono con la versione propagandata da Daesh, il modo in cui spiega l'adesione a Nusra prima, e ad Hayat Tahrir in seguito, mostrano come alla fine è poco corretto individuare dei terroristi in tutti i foreign fighters.
Passata la fase militare, sia che questi tornino sia che rimangano nelle aree dei conflitti, bisognerà confrontarsi con loro in maniera costruttiva.

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