venerdì 6 gennaio 2017

Quello che ha capito la comunità dell'antiterrorismo

Marco Ludovico è un giornalista talebano. Ogni tanto via web mi diverto a farlo arrabbiare perchè è troppo serio.
Si dovrebbe rilassare.
Se va ad una conferenza stampa sulla deradicalizzazione, chiede spiegazioni sulla questione specifica. E infatti solo lui e la collega della associated press hanno rivolto domande pertinenti.
Gli altri erano interessati alla polemica sui Cie ed evidentemente ritengono il tema in discussione di poco conto o anche una mossa di facciata da parte del governo. In parte forse è stato così inizialmente. Visto però che l'iniziativa è stata presa, bisogna cercare di trarne massimo beneficio.

Video

In effetti dal momento che il ministro Minniti ha posto l'accento sul fatto che la commissione si è concentrata sulla specificità italiana, quando la maggior parte della letteratura in materia proviene da realtà straniere, ci si aspetterebbe a questo punto che almeno gli inquirenti esprimano in cifre e con più chiarezza, quale è il vero livello del pericolo in Italia. L'osservazione che nel nostro Paese il rischio è minore, oltre ad essere molto generica, non ci consente di affinare la percezione della realtà in modo da adattarci ad essa .
Il problema è che una stima è effettivamente difficile da realizzare, perchè la radicalizzazione non è un parametro certo ed indipendente. Ha vari gradi e modi di manifestarsi anche rispetto alle valutazioni giudiziarie. Ma in generale non sono mai stati resi noti dettagli su radicalizzandi e radicalizzati per non alimentare le solite polemiche e perchè in un certo senso la cosa non servirebbe a molto, se non a generare ulteriore confusione.
E' sufficiente che uno solo dei soggetti a rischio sparsi sul territorio si alzi una mattina con l'intento di fare una strage. Ecco perchè a Daesh non interessa la ritorsione contro il singolo poliziotto ma punta al simbolo. La morte di Amri può essere vendicata a Copenaghen così come ad Acireale purchè si colpisca un uomo in divisa.
Posto che una dinamica del genere con molta difficoltà può essere prevenuta o bloccata, è importante capire come un individuo o un gruppo di persone possa arrivare solo a pensare di compiere atti di terrorismo di questo tipo. E l'emarginazione che porta a vedere il nemico dappertutto è fondamentale. Dappertutto incluso il mondo musulmano.
In questo contesto si inserisce Daesh con le sue esegesi coraniche distorte e il disprezzo per l'Occidente . Su questo contesto bisogna lavorare attraverso contro-narrazione e politiche inclusive sia in fase di prevenzione che di deradicalizzazione.

Interessante è stato il pronunciamento del dottor Vidino circa l'utilità delle espulsioni.
Parere da prendere ovviamente tenendo in considerazione il fatto che il giovane esperto di antiterrorismo lavora a stretto contatto con gli apparati di sicurezza che gli forniscono i dati per le sue ricerche e che quindi lui non può contrariare almeno in pubblico.
Che rescindano per davvero i legami di radicalizzazione in fase embrionale, quello potrà essere valutato più avanti con il crescere della casistica. In generale si deve guardare all'effetto complessivo. Da un lato si rafforza la convinzione nei musulmani che rimangono, di essere vittime di strumentalizzazioni e dall'altro si rimandano in terre tribolate dei soggetti a rischio. I bilaterali del ministro Minniti e i tavoli di discussione tra le forze di polizia dovrebbero cercare di curare anche quest'ultimo aspetto. Il destino degli espulsi una volta tornati nei Paesi di origine delle famiglie in cui loro spesso sono solo nati.

A giudicare dalle reazioni sulla stampa di oggi, qualcuno degli apparati di sicurezza che evidentemente non si sente parte della comunità dell'antiterrorismo, così come l'ha chiamata il dottor Vidino, ha mandato a chiedere se c'era proprio bisogno di una commissione per arrivare a conclusioni che in fondo vengono fornite dalla stessa intelligence e dai reparti antiterrorismo.
C'è bisogno di interpretare quei dati secondo un'ottica diversa e globale.
Se all'investigatore è sufficiente sapere che sul luogo dell'attentato qualcuno ha gridato Allah Akhbar o Bismillah per iniziare ad indagare, chi deve fare in modo che non si arrivi nemmeno a  pensare ad una carneficina, ponendo in essere una strategia preventiva, deve sapere quali sono le motivazioni che portano a pronunciare quelle parole con un determinato intento. Se poi la commissione è qualificata e lavora in maniera disinteressata, o anche indipendente come sostiene il ministro Minniti, quello è un altro discorso.

Nel post precedente avevo frainteso la domanda del giornalista che parlava di porte girevoli del terrorismo.
Si riferiva alla vicinanza tra Puglia e Balcani temendo i campi di addestramento in Bosnia.
Si tratta indubbiamente di una realtà insidiosa e non completamente sotto controllo ma il problema è che la collaborazione tra i governi e gli apparati di sicurezza di entrambi i Paesi deve essere effettiva evitando di svilupparsi, come spesso accade anche con i Paesi africani, a colpi di ricatti e richieste finanziarie o di approvvigionamenti di armi.

Il cosiddetto partenariato internazionale con i giganti del web è già partito a livello di unione europea e con l'orientamento che ci si aspettava. Ognuno intende la rimozione del materiale come meglio crede, il che spesso si risolve in censura. Si discute da tempo di questa soluzione. Il fatto è che su Internet tutto si rigenera. Nelle ultime settimane ci siamo tutti trasferiti su Telegram per essere informati su ciò che avviene in Siria. Se anche Durov cedesse a certi ricatti, perchè alla fine di questo si tratta, troveremmo un altro posto dove viene riprodotto il materiale di interesse.
La questione posta dalla giornalista della associated è di fondamentale importanza.
Servono seconde generazioni e musulmani tra investigatori e agenti segreti, non solo per infiltrarsi meglio, ma anche per creare un rapporto di fiducia con le comunità. Per adesso è un discorso proibitivo a causa delle ideologie politiche che sembrano permeare gli apparati di sicurezza.
Inoltre il direttore delle specialità e della polizia delle comunicazioni difficilmente rinuncerebbero alla loro fetta di torta nell'ambito dell'antiterrorismo. Quindi dobbiamo continuare a credere che il terrorismo si batte con tecnici e mediatori culturali. Con buona pace delle scienze delle investigazioni.

Nessun commento:

Posta un commento