lunedì 9 gennaio 2017

Frigoriferi iraniani in cerca di ciambelle di salvataggio italiane

Nel lontano 1938 la Banca Nazionale d’Iran commissionò una serra da collocare all’interno del giardino della sede di Teheran. Si trattava di una struttura di ferro e vetro molto solida e anche esteticamente curata che non comportò una spesa eccessiva. Il lavoro dell’ARJ fu talmente apprezzato da ricevere non solo encomi ma anche altri ordini. Il fondatore dell’azienda, Khalil Arjomand, era un giovane ingegnere di talento che, beneficiando delle borse di studio messe a disposizione dal governo, aveva trascorso diversi anni in Europa a studiare la tecnologia che in Iran mancava e a trarre ispirazione dai modelli operativi francesi e tedeschi che erano garanzia di qualità e produttività. Tornato in patria, aprì un piccolo laboratorio che si occupava della lavorazione di metalli leggeri e con il passare del tempo ampliò la sfera d’azione nel settore elettromeccanico, diventando il fornitore preferito da aziende, governo ed elite. Alla sua morte la missione di ARJ fu affidata ai fratelli Eskandar e Siavosh i quali continuarono a tenere le redini di un polo industriale diventato un’eccellenza in medio-oriente e partner di peso di aziende americane. Nel solco tracciato da Khalil, ARJ veniva in soccorso delle fasce povere della popolazione e creava lavoro anche attraverso numerose borse di studio destinate a giovani studenti meritevoli.
A metà degli anni cinquanta il gruppo passò da una produzione per pochi e su richiesta a una di massa. Elettrodomestici di ottima qualità venduti a prezzi ragionevoli. Il successo della famiglia Arjomand non fu intaccato nemmeno dal clima d’intolleranza che si respirava in Iran nei confronti della setta religiosa alla quale essa apparteneva. Sia lo Shah sia il figlio usavano i Bahais per controbilanciare lo strapotere dei mullah ma volevano anche portare avanti un nuovo corso rispetto alle politiche oscurantiste, in materia di minoranze religiose, perpetrate dalle monarchie del Golfo. Mohammed Reza ebbe anche modo di apprezzare il lavoro degli Arjomand quando, di ritorno dal viaggio di nozze, trovò ad accoglierlo un arco di metallo decorato posto sulla via da percorrere fino a palazzo.
Come tutte le aziende che subirono la nazionalizzazione all’indomani della rivoluzione, ARJ nel corso degli anni vide crollare a picco la produzione. Tra sussidi di stato, abbassamento dei costi di produzione a scapito della qualità e passaggi di mano (i fratelli Arjomand se ne andarono in America) il colosso iraniano cumulò debiti che non riuscì a ripagare. Vittima anche dell’incremento del volume delle importazioni causato dalle politiche finanziarie dell’Iran, l’intero settore subì un crollo.
A Giugno dello scorso anno l’agenzia di notizie Tasnim riferì della chiusura di ARJ e dei conseguenti licenziamenti. Secondo l’allora CEO invece, l’intenzione era quella di cercare investitori. La proprietà nel frattempo era andata proprio alla banca nazionale d’Iran che l’aveva svenduta a pezzi. Altro motivo questo, del fallimento di molte aziende iraniane cadute nelle grinfie di organismi e personaggi che nulla avevano a che fare con la gestione di determinati settori industriali. Alla fine il governo di Rouhani non è voluto venire più in soccorso di aziende come ARJ.

Giorni fa il responsabile del settore al ministero dell’industria iraniana ha annunciato l’inizio di trattative con multinazionali del calibro di General Electric e Whirlpool (per l’Italia sarebbe interessata l’Ariston) per tentare di salvare le tante aziende di elettrodomestici ormai al collasso. Abbas Hashemi ha parlato di join ventures ma soprattutto d’investimenti in tecnologia. A quanto è dato capire l’idea sarebbe di far restare la proprietà in mani iraniane. Piano questo che, come accaduto nel settore delle automobili, poco alletta gli investitori stranieri che tendono a dare il colpo finale inglobando tutto. Altro snodo cruciale è il reale stato di salute di queste aziende. Dopo decenni di bilanci disastrati e cattiva gestione da parte di funzionari corrotti, non è chiaro se la svendita degli assetti abbia permesso di rientrare degli enormi debiti accumulati e quale sia la posizione dei lavoratori licenziati. Si tratta di un mercato molto appetibile, da quasi cinquecento milioni di dollari, che come gli altri ha sofferto per le sanzioni ma che va studiato nel dettaglio.


Foto Iranicaonline, Ministry of Ind.Mine&Trade Republic of Iran

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