venerdì 16 dicembre 2016

Le sfide di Minni ‘Nduja

La questione immigrazione, tuttavia, comincia dai paesi africani. Il patrimonio di conoscenze e informazioni acquisite con la guida dell’intelligence consente a Minniti di puntare, il prima possibile, alla stipula di accordi bilaterali con gli stati di provenienza. Consentono, se ci sono risorse economiche sufficienti, di organizzare rimpatri consistenti. Garantiscono, soprattutto, un effetto di disincentivo alle partenze e di riduzione dei flussi: è l’obiettivo politico prioritario. I principi umanitari non sono affatto in discussione. Ma anche nel travagliato scenario libico, ben noto a Minniti, occorre trovare occasioni di freno, di riorganizzazione e di deterrente ai viaggi della disperazione. È da lì, del resto, che parte la quasi totalità dei flussi.  
Marco Ludovico 14 Dicembre 2016
 
Diciamoci la verità.
Ci siamo tutti accaniti contro il ministro Alfano perché non ci andava a genio il suo modo di porsi. Però il fallimento della gestione di alcune questioni chiave che riguardano il suo ministero, va attribuito anche al fatto che non è stato supportato adeguatamente dai vari dipartimenti che lo compongono.
Ad annullare l’esito di un concorso di polizia molto discusso siamo bravi tutti. Dal prefetto Gabrielli, quello che disse che non è serio addossare certe responsabilità ai migranti, ci si sarebbe piuttosto aspettato che ammettesse che dalla Diaz a oggi non è stato fatto abbastanza per evitare il ripetersi di certe pratiche. E che facesse una verifica sulle accuse lanciate e testimoniate da Amnesty. O che non salisse sulle barricate ogni volta che gli si ricorda che non si capisce per quale motivo non sono resi noti i testi degli accordi. Va bene anche la solita scena dell’indignato alla quale ormai il prefetto Morcone ci ha abituato. Ma da un capo di polizia che si presenta come un salvatore della patria o almeno un innovatore, ci si aspetta uno scatto.
Fatto è che da noi, si è calibri finché si arriva nell’olimpo degli dei. Poi al massimo si rimane colibrì.

La problematica dei migranti si sviluppa tra il medio-oriente e l’Africa. Tra guerre e dittature. Se è vero che la Libia per noi rappresenta uno snodo centrale, è altrettanto vero che tentare di risolvere la situazione affidandosi a Putin che può influenzare gli orientamenti di al Sisi e Haftar e lasciandogli mano libera per massacrare i siriani com’è stato fatto, oltre a non essere serio non è concreto. Con l’avanzata di Assad degli ultimi giorni, è improbabile che si possa realizzare la cosiddetta soluzione politica, appoggiata anche dall’Italia, che prevede un periodo di transizione seguito da un governo fatto di esuli, siriani giusto per passaporto, appoggiato da un esercito la cui composizione cambia da un giorno all’altro. La situazione che si va ormai cristallizzando, è la Siria guidata da Assad ben saldo nel blocco di coalizione sciita e sostenuto da Putin che non lo tradirà perché il dittatore rimane il suo visto d’ingresso in medio-oriente. Sul fronte dell’opposizione invece, c’è un corposo gruppo qaedista coagulato attorno ad Abu Julayb e Sami al Uraydi, che rinnegano con fermezza la decisione di al Julani di abbandonare la jihad globale per dedicarsi alla questione siriana, e la compagine guidata da Jabat Fath, ormai diventata forza di popolo. Stando così le cose, il pericolo viene da al Qaeda più forte e aggressiva di prima, e Daesh che, ancora viva e vegeta, punta a colpire l’Occidente come ribadito dal nuovo portavoce. C’è da considerare inoltre il cosiddetto terrorismo di stato ben incarnato dagli alleati di Assad. In Iraq noi combattiamo assieme a dei terroristi designati dal dipartimento americano. Le Quds force. Che alla fine torna utile visto che vendiamo armi anche all’Arabia Saudita. Ma non riusciamo ad andare oltre la politica dell’accodarsi agli Stati Uniti e a Putin. In uno scenario siffatto viene da pensare che Alberto Manenti, quando parla della crescita della società civile libica come se fosse la cura a tutti i problemi, forse vuole raccontare una favola a se stesso prima che a noi. Magari Daesh sarà anche stato allontanato da Sirte come annunciava allegramente il capitano Davis, ma da qualche parte sarà pure andato. E il governo che veniva dal mare continua a non entusiasmare.

I principi umanitari non sono affatto in discussione perché non si discutono ai tavoli dove si concorda quanto dare e in che forma, purché i governi africani si riprendano i migranti scomodi e non ne facciano partire altri. Ma la storia dei rimpatri assistiti che portano casa, lavoro, educazione e benessere a quelli che riusciamo a rispedire indietro, è un’altra favola che ci vogliamo raccontare. Anche a non voler ragionare seguendo una logica di umanità, piuttosto che quella del mors tua vita mea, la soluzione dei miliardi a paccate adottata sia dall’Italia sia dall’Unione, è un boomerang che alla fine ci si ritorcerà contro, perché partiranno di nuovo o si radicalizzeranno per poi colpirci con rapimenti e attentati.

Il ministro Minniti, mediatore provetto, ha dalla sua, abilità e competenza. Sarebbe già abbastanza se riuscisse a convincere tutti i sindaci ad accogliere i profughi assegnati, dando loro un’istruzione e inserendoli nel mondo del lavoro in modo da non lasciarli in balia del crimine.
Che Allah lo guidi e lo protegga in quest’arduo compito.

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