mercoledì 14 dicembre 2016

Le deleghe della discordia

Alcune sere fa, uno dei giornalisti di Berlusconi rilevava lo spessore del nuovo presidente del consiglio, ricordando il ruolo di primo piano avuto nel ritorno dei marò, nella composizione del governo libico, nella liberazione di alcuni ostaggi in Libia e anche nella gestione della diatriba tra Unesco e Israele. Insomma in meno di un minuto ha cancellato il lavoro di anni fatto, tra alti e bassi, dall’Aise.
Le voci messe in giro dai giornali di Putin, oggi il giornalismo è di questo o di quello, circa il fatto che le deleghe ai servizi non siano state assegnate per ingraziarsi Trump, confermano la percezione che abbiamo dei nostri servizi. Un’allegra banda di buontemponi in balia degli eventi. Se davvero fosse così, le deleghe sarebbero state date al ministro Lotti. O addirittura alla Boschi.

La figura del sottosegretario con delega in questi anni è stata sottostimata perché il senatore Minniti ha interpretato il ruolo con la sobrietà e la discrezione necessarie. Gli scenari e i personaggi nei quali si è imbattuto non sono stati di facile gestione. Ricordiamo l’imbarazzo di fronte all’assistente dell’avvocato di Totò Riina che per prima non conosceva le motivazioni che avevano indotto a convocarlo per riferire su vicende che risalivano all’epoca in cui lui non faceva parte del governo. E anche pochi giorni fa quando, offrendo massima disponibilità da parte sua e dei servizi, ha pazientemente spiegato alla parte civile di mafia capitale che i suoi interventi sono limitati a tempi e vicende circoscritte secondo le richieste presentate. Oppure che non può conoscere nel dettaglio nomi e fatti di tutti e quattromila gli agenti che lavorano per i nostri servizi se non se ne fa specifica menzione nella richiesta di convocazione. Da questi e altri frangenti ben più complessi, appare chiaro come l’assegnazione delle deleghe non possa essere casuale. Chi è chiamato ad adempiere alla funzione non può chiudersi in un ufficetto assieme al presidente del consiglio e fare la leggina ad personam per accontentare le velleità di carriera del funzionario di turno, com’è stato incautamente scritto. Deve verificare la possibilità d’intervento sulle norme in relazione alle esigenze dell’Agenzia e alla necessità di azione da parte del governo. Non può autorizzare o consigliare al presidente del consiglio di autorizzare il pagamento di una somma di trecentomila euro per l’informazione ottenuta da uno ‘ndranghetista, semplicemente allo scopo di permettere al politico in difficoltà di gridare al lupo al lupo dopo un attentato sventato e così guadagnare consensi.

Quelle deleghe richiedono senso dello stato, conoscenza delle leggi e delle norme interne, capacità di relazionarsi a vari tipi d’interlocutore. Non è che ogni volta che i magistrati siciliani parlano dei nostri servizi come se fossero dei mezzi delinquenti, li si può mandare a quel paese o piegare per forza la testa. Bisogna cercare il giusto mezzo secondo le esigenze del tempo e delle circostanze. Anche fare il giro delle università o andare a dire in tivvù che ai servizi non si entra mai per raccomandazione, richiedono una preparazione che non s’improvvisa né può essere trasmessa con sei mesi di addestramento. Lotti è persona volenterosa e intelligente, anche appassionato della materia dicono, ma passare le deleghe a lui sarebbe stato un azzardo perché avrebbe compromesso il lavoro di anni o anche decenni, passati a cercare di raggiungere una serie di equilibri importanti per garantire stabilità alle istituzioni. Equilibri tuttora troppo fragili forse, pur sempre espressione di democrazia.

L’onorevole Gentiloni è quello che nel suo resoconto alle camere, diede un’idea delle circostanze che portarono all’assassinio di Giovanni Lo Porto. Gli americani, contrariamente a quanto ribadito sin dal primo momento da Obama, conoscevano alla perfezione l’identità dei soggetti da eliminare. Quindi non erano a conoscenza del fatto che quel particolare gruppo di qaedisti in quel momento stava gestendo il sequestro Lo Porto- Weinstein. Quello è l’errore da chiarire. La signora Villecco che è persona parecchio accorta, e ben lo sa il generale Pollari che nel bel mezzo della bufera sul libro di Polo le inviò un messaggio ricordando in un’intervista come lui avesse gestito la sua transizione nei servizi, ci raccontò che i nostri servizi segreti nel corso della trattativa Lo Porto hanno agito in maniera legittima e seguendo le regole. Ciò non significa che non hanno commesso errori. E a dar retta a quanto disse il dottor Mancini, che nel suo genere è un grande attore ma qualche verità ogni tanto la dice, se veramente qualcuno lo voleva incolpare di quel fallimento, vuol dire che una responsabilità italiana c’è.
Un secondo caso Calipari, con le solite lotte da cortile a colpi di resoconti ufficiali, è ciò di cui meno in questo particolare periodo storico hanno bisogno sia Italia che Stati Uniti. Trovare un giusto mezzo per porre la questione al pubblico era una tappa obbligata. Anche in questo tipo di dinamiche, il ruolo del detentore delle deleghe è centrale. Il fatto che rimangano, almeno per il momento, al nuovo presidente del consiglio, pare essere la scelta migliore.

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