venerdì 30 settembre 2016

Rebranding

For the Islamic State and its supporters, however, what happened on July 28 was not an exercise in “coordination and cooperation” but rather a complete and utter sham. By no means, they argued, were al-Qaida’s leaders interested in letting go of their most successful franchise. What sense would that make? What happened, in their view, was that Jabhat al-Nusra made the decision to leave on its own, and al-Qaida had no choice but to play along. Both groups thus choreographed the rebranding ceremony to make it appear as if al-Qaida was in on it from the beginning. But in reality it was not. Zawahiri had been duped by the faithless Jawlani. Jihadica

L’errore commesso da molti, all’indomani dell’annuncio della separazione tra al Qaeda e Nusra, è stato quello di chiedersi da cosa fuggivano gli uomini di al Joulani. Si è parlato di cementare i rapporti con gruppi come Ahrar al Sham che non vedeva di buon occhio lo stampo qaedista di al Nusra oppure di evitare le bombe americane grazie al rebranding In realtà bisognava porre la questione in termini diversi e cioè analizzare in che direzione corrono sia al Nusra che al Qaeda. Entrambe verso uno stato islamico, ma al Zawahiri persevera nella sua visione della jihad globale mentre al Joulani si accontenta di mettere a posto le questioni di casa sua. A entrambi non dispiace liberarsi di Daesh che con le sue tattiche di tipo nazi-fascista, a tutto può aspirare fuorchè ad uno stato. Islamico nemmeno a parlarne.
Al Zawahiri, che in primavera annunciava che a lui andrebbe bene qualsiasi leadership purchè islamica, e quello settembrino che incitava alla guerriglia in Iraq, sono entrambi espressione dell’accordo con al Joulani. Una suddivisione territoriale.
Che al Joulani non sia interessato al terrore globale, ad al Zawahiri non sposta più di tanto. L’importante è avere un’ampia area a controllo sunnita che consenta autorevolezza ed espansione. Rimanere uniti significava prolungare una fase di caos che avrebbe prestato il fianco alle velleità di Assad. Bisogna tenere anche conto del fatto che, così come avvenne tra Daesh e Nusra, vuoi perché non tutti sono d’accordo con il capo, vuoi perché in alcune zone sono necessarie azioni congiunte, una separazione effettiva e totale per il momento non ci sarà. Liberarsi di al Qaeda era necessario ad al Joulani per contarsi e contare quanti in concreto gli saranno fedeli. E anche per tentare il grande salto nel processo politico. Ma soprattutto per serrare i ranghi con i civili.
Da quando c’è stato l’annuncio della separazione, crescono sempre più le adesioni da parte di siriani di altre religioni, soprattutto cristiani, che nonostante la propaganda negativa messa in atto dai media iraniani e siriani, inneggiano ad al Joulani il liberatore. E da quanto si è intuito dall’intervista rilasciata l’anno scorso ad al Jazeera, né lui né i suoi si opporrebbero ad una Siria dove ognuno può praticare la propria religione, purchè rispetti le leggi dello stato e non si unisca militarmente a gente come Assad.
Se è vera la storia di Nicola Calipari che, per giungere ad una soluzione concreta dei rapimenti messi in atto ai tempi di al Zarqawi, aveva in animo di portare ad un tavolo di trattative i qaedisti di allora per coinvolgerli nel governo del Paese, si trattava di una utopia visto lo scenario.
Nella Siria di oggi un discorso del genere è possibile con Jabhat Fath ed altri gruppi. Piuttosto che arrivare a realtà come quella libica, o anche alla situazione che c’è in Pakistan, con l’Isi che si siede al tavolo per decidere il nuovo capo talebano, bisognerebbe includere immediatamente i gruppi di ribelli più disponibili e meglio controllati dai loro capi, in un tavolo di trattative per preparare il governo post-Assad.

Nessun commento:

Posta un commento