sabato 13 agosto 2016

Troppo poco

Nei giorni scorsi il gip non ha autorizzato l’arresto per terrorismo di un immigrato che aveva aderito su Fb all’Is. Predicare il jihad sui social non basta per finire in carcere? «Il giudice è stato attento e scrupoloso, ha deciso sulla base di motivazioni molto puntuali, dove ha riconosciuto l’estrema radicalizzazione di questo soggetto. Ma è arrivato il momento di compiere un salto culturale».A cosa si riferisce? «Conosciamo troppo poco dell’Islam. Per la nostra cultura, dire “ti uccido” può rappresentare una semplice vanteria. In questo tipo di realtà, invece, affermare su Facebook di essere “isissiano” non è mai una spacconata, bensì l’adesione a una precisa volontà di portare avanti un percorso ideologico che sempre più spesso, ce lo racconta la cronaca, sfocia in episodi di violenza». La Costituzione però tutela la libertà di espressione. «Capisco questa obiezione. Ma se vogliamo combattere questo fenomeno, dobbiamo aggiornare i nostri metodi di valutazione della prova». In che modo? «In questi anni abbiamo studiato le mafie, oggi dobbiamo armarci di pazienza e studiare l’Islam. Io stesso, quando sono stato in Afghanistan, ho letto il Corano. In quel testo, accanto a una grande predisposizione alla carità, ci sono versetti estremamente duri e severi contro i miscredenti. Una lettura radicale e integralista di quei testi può far ritenere che il jihad sia un preciso dovere del buon musulmano. Se non capiamo questo, continueremo a confondere la sacrosanta libertà di espressione con il messaggio fondamentalista che invece va assolutamente preso sul serio».repubblica napoli

La jihad è un preciso dovere del musulmano e può essere praticata a diversi livelli.
Quello di tipo militare deve essere autorizzato da una autorità legittimata e riconosciuta.

Che magistrati ed investigatori non conoscano l'Islam sebbene indaghino su questioni di terrorismo da decenni ormai, è abbastanza chiaro dalle sottolineature espresse nelle conferenze stampa al termine di operazioni anti-terrorismo.
La consapevolezza manifestata pubblicamente dal magistrato è un atto degno di nota.
Uno studio più appofondito è a tutela  anche dei diritti dei musulmani e della giustizia. Però più che di Islam come realtà, indicazione troppo generica, bisognerebbe riferirsi ai contesti e alle condizioni nelle quali esso è praticato. E quindi anche allo stile di vita.

A proposito di comportamenti tenuti su internet mi pare che la tendenza delle ultime sentenze sia quella di considerare l'adesione sui social, anche senza un proclama specifico, come appartenenza a Daesh. E' un orientamento molto insidioso perchè, se da un lato torna utile per emettere sentenze dure, dall'altro fornisce a Daesh e ad altre formazioni terroristiche quella legittimità di stato che rende  a sua volta legittima anche la jihad che lanciano attraverso i loro imam.

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