domenica 10 luglio 2016

Il matrimonio come antidoto alla sindrome di Daesh

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Qamar expresses ambivalence about travelling to join Isil

39. On September 18 2015 Qamar quoted Anwar al Awlaki and referring to dying on the battlefield as a martyr of Islam, told CW (confidential witness) that "you either die a shaheed or you die a coward"
40. On October 16 2015, CW told Qamar that Qamar did not have to travel to join Isil in order to die as a martyr in the eyes of Allah and that he would die a martyr for Islam so long as his heart was on the battlefield....
41. On November 20 2015 CW and Qamar spoke about Qamar joining and/or aiding the islamic state. Qamar said that his parents knew that he was a fan of the islamic state and that, as a result, his parents wanted him to get married. Qamar said that he told his parents that he would not marry anyone that was not a supporter of the islamic state. Qamar said that, even if he had a nice house and a profitable business, he would attempt to find a way to funnel money to the islamic state until he left the country or got caught. He said that he wanted to live and have his kids in the islamic state and not in the united states.
42. On November 28 2015 Qamar initially told CW that the only thing keeping Qamar in the united states was his family, and he would join the islamic state if he did not have a family. Qamar then claimed that he would in fact go despite his family , but that they were controlling his passport. 
47. On January 12 2016 Qamar told CW that Qamar wanted to fight for the islamic state for the sake of Allah but that he didn't want to "jump on the train" and follow everyone, or do so because of peer pressure. When CW asked whether Qamar felt that CW was pressuring Qamar to join the islamic state, Qamar said "No, no, no"
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US vs Haris Qamar District of Virginia 7 July 2016
Nicholas Caslen Special Agent with the Federal Bureau of Investigation

Ricorda un pò i tempi in cui da noi, quando un ragazzo esprimeva il desiderio di farsi prete, gli si faceva conoscere una ragazza nella speranza che l'intento svanisse. Al contrario le ragazze, rimaste zitelle o affette da qualche problema fisico, venivano mandate in convento.
La poca conoscenza dei fenomeni, la paura e la incomunicabilità che spesso attanagliava le famiglie, orientava verso rimedi da azzeccagarbugli.
Non è che la situazione sia migliorata di molto al giorno d'oggi.
Anche in un Paese all'avanguardia come l'America, i genitori sono soggetti al panico ed evidentemente non hanno strutture di riferimento alle quali rivolgersi per consigli e soluzioni.

La vicenda di Haris Qamar e le indagini che ne sono scaturite, costituiscono il prototipo che probabilmente Lamberto Giannini aveva in mente quando ha parlato della necessità di investire nella formazione dei suoi uomini, soprattutto in relazione all'esigenza di infiltrare gli ambienti in cui si muovono terroristi e potenziali terroristi.
Dall'estratto del documento di incriminazione, viene fuori il profilo un pò fantozziano di un ragazzo come tanti che magari ha bisogno di un diversivo o di una ragione di vita che nemmeno un'esistenza agiata è in grado di offrirgli.
In realtà quando Qamar viene captato dai radar dell'Fbi, nella primavera dell'anno scorso, la sua presenza su Twitter lo svela come un potenziale attentatore o foreign fighter.
Diffonde le immagini cruente dei video di propaganda trasmessi da Daesh, commenta le immagini di attentati e azioni di guerra in maniera molto schietta sottolineando che i kuffar (miscredenti) meritano anche di peggio e quota fuori contesto i classici versi del Corano che alcuni commentatori solitamente indicano come espressione di violenza fine a se stessa. Nel settembre del 2015 i federali gli affiancano un loro informatore di fiducia che stimolandolo al dialogo, anche al di fuori dell'ambiente virtuale e senza oltrepassare i limiti giuridici imposti sulle operazioni esca, riesce ad incrementare il bagaglio informativo a disposizione degli investigatori circa la personalità del ragazzo e le sue reali intenzioni.
E in questo frangente, come notava il buon De Stavola in una recente intervista, viene fuori un aspetto che più di altri fenomeni criminali, il terrorismo di matrice fondamentalista mette in risalto . Il potenziale terrorista in ambiente virtuale non si rende affatto conto di quali conseguenze avranno le sue azioni rispetto alla vita reale. Infatti Qamar, una volta stabilito il rapporto di conoscenza con l’informatore che lo interroga in continuazione sui propri propositi, inizia ad avere forti ripensamenti e accampa scuse per giustificare la propria ritrosia a compiere attentati e la rinuncia a partire per comprare il biglietto aereo per la Turchia. Venuto a conoscenza della kill list messa a punto dal gruppo di hackers fondato da Junaid Hussein, riconosce, in quanto nel suo stesso quartiere, gli indirizzi di due militari americani presi di mira. Fa un giro in zona senza però nemmeno manifestare propositi. Assieme all’informatore effettua una ricognizione per individuare e fotografare obiettivi sensibili. A quel punto viene arrestato.

Un siffatto schema investigativo permette di inquadrare vicende e personaggi per quello che sono e non per ciò che potrebbero essere o fare. Da un lato inoltre, garantisce in modo adeguato i benefici dello stato di diritto all’indagato. D’altro canto la polizia va in tribunale con un caso forte, e senza ricorrere a leggi speciali, con riscontri che costringono l’indagato ad una confessione piena, senza dare modo alla difesa di attaccarsi alle “fanfaronate giovanili”.
La polizia sin dal primo momento viene impiegata in una indagine vera, senza essere relegata a compiti di raccolta e trascrizione di dialoghi da social, screenshot e riassunti di video e testi elaborati dai terroristi di ultima generazione. In futuro magari anche in Italia assisteremo a conferenze stampa espressione di questo scenario.


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