giovedì 14 luglio 2016

Australia&Indonesia unite contro Daesh

La stampa australiana nei giorni scorsi ha dato notizia di un progetto di collaborazione che vede coinvolti l’Asio, agenzia di intelligence australiana deputata alla raccolta di informazioni e il Bin, l’agenzia indonesiana che si occupa di scambio di informazioni e coordinamento tra intelligence e polizia. Si tratta di un progetto abbastanza ambizioso visti i rapporti complicatisi a seguito delle rivelazioni di Snowden circa azioni di spionaggio mirate, da parte dell’intelligence australiana, che ebbero come oggetto il presidente indonesiano Yudhohiono e i circoli politici a lui vicini, nonché sua moglie. I servizi segreti australiani non sono comunque nuovi a questo tipo di collaborazioni. Già diversi anni fa, quando si iniziava a parlare della volontà del Giappone di istituire un comparto estero per la propria intelligence, ci fu una serie di scambi che portarono l'anno scorso, in vista della rivoluzione voluta dal primo ministro, a concludere un accordo che ha come finalità l'addestramento degli agenti giapponesi.

A fronte di una popolazione musulmana in gran parte moderata, che si riconosce in una forma di governo secolare, l’Indonesia presenta diverse frazioni radicali che si sono sviluppate inizialmente grazie ai frequenti contatti con l’Islam di Egitto ed Arabia Saudita, e hanno maturato nel tempo un senso di frustrazione, alimentato anche da sentimenti anti-occidentali risalenti all’epoca coloniale ed accresciuto proprio a causa del secolarismo imperante che ha spento in loro ogni speranza di creare uno stato islamico. In questo contesto altamente a rischio, ristretto ma molto insidioso, Daesh ha buone speranze di insediarsi. Alcuni gruppi appartenenti alla galassia di Abu Sayyaf e Jeemah al Islamiyah avrebbero dato la loro adesione alla compagine di Abu Bakr al Baghdadi, ma continuerebbero a condurre operazioni che hanno obiettivi a livello locale. Non bisogna dimenticare inoltre, che diversi tra questi, usano il brand terroristico semplicemente per fare soldi.
A conferma del fatto che, almeno per il momento, il pericolo nel sud est non è legato a questioni ideologiche, ci sono gli attentati che si sono susseguiti dal Gennaio di quest’anno fino alla settimana scorsa. Alcuni anche miseramente falliti a causa della scarsa qualità dell’esplosivo impiegato. Dalla Malesia alle Filippine, si tratta di gruppi già dediti ad azioni eversive o tese alla raccolta di denaro attraverso rapimenti ed estorsioni. E’ più corretto quindi parlare di inspired attacks.
In generale non ci sono leader né strutture organizzate. Le criticità sono rappresentate dall’ambiente carcerario e dalla conformazione frastagliata tipica degli arcipelaghi indonesiani. Si sa ben poco del Badan Intelijen Negara , ma pare che in seguito alla ristrutturazione il suo punto debole sia rappresentato proprio dagli uffici provinciali. Zone di frontiera cioè, dove dominano piccoli gruppi criminali dediti a traffici di vario tipo, e che se decidessero di instaurare le proprie wilayat, costituirebbero un problema non da poco. I foreign fighters indonesiani in zona siro-irachena sarebbero circa un migliaio e non hanno messo in piedi una vera e propria rete di reclutamento. Però Daesh sembra aver compreso quali sono le debolezze da sfruttare, e nelle ultime settimane ha potenziato la propria macchina mediatica, lanciando appelli e pubblicando un periodico in lingua locale. Gli attentati di Bali sembrano un lontano ricordo, ma la struttura geografica e la diversità socio-politica che caratterizza lo scenario indonesiano, costituiscono terreno fertile per quella guerriglia sulla quale ormai Daesh punta.


L’Australia ha un doppio problema di foreign fighters che hanno molta presa soprattutto sulle seconde generazioni e di radicalizzazione via web. Problemi che colpiscono non solo i singoli, ma interi nuclei famigliari partiti per la Siria. Le donne rivestono un ruolo importante nella messa a punto del reclutamento. I loro interventi sulle piattaforme social hanno molto successo. L’Asio ha chiesto ed ottenuto leggi più dure e maggiori poteri. Lo scenario però è complesso e difficile da tenere sotto controllo. La collaborazione iniziata lo scorso anno con l’Indonesia, anche a livello investigativo e giudiziario, e seguita da questo progetto che prevede scambi di funzionari che per alcuni mesi saranno di stanza nei quartieri generali delle due agenzie, in modo da studiare le rispettive best practices in materia di contrasto al terrorismo, era un passo obbligato data la vicinanza geografica e i rapporti commerciali e finanziari.

La presenza italiana dovrebbe essere significativa, anche se non particolarmente rilevante, sia in Indonesia che in Australia. Le aziende sono presenti in massa in Australia e in rappresentanza di diversi settori. Al contrario il ricco mercato indonesiano viene sfruttato molto poco. L’agroalimentare è trascurato a favore delle solite imitazioni di provenienza anglosassone. Il volume di affari con l’Indonesia è comunque in crescita. L’export italiano è ai livelli di quello praticato da Germania e Francia. C'è da registrare la presenza di Eni.
Se si considera anche il settore turistico, l’intera area deve rappresentare motivo di interesse per tutto quanto riguarda l’attività locale eversiva. Non sono da trascurare inoltre, eventuali rapporti tra la comunità indonesiana in Italia e la madrepatria o interazioni virtuali. Ricordiamo che gli attacchi sventati in Australia in occasione dell’Anzac Day misero in evidenza contatti via wattsap tra i minorenni incriminati e loro conoscenti inglesi, anch’essi in seguito sottoposti a scrutinio penale. Tutte valutazioni queste, che saranno sicuramente state già fatte da polizia di prevenzione ed Aise.

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