domenica 26 giugno 2016

Intercettare i segnali della deriva e mettere in circolo le informazioni

Si potrebbe riassumere in questi termini l’intervento, come al solito magistrale, di Claudio Galzerano al convegno organizzato dalla polizia di stato a Piacenza. Il dirigente della polizia di prevenzione ha tracciato, a partire dal case study di Mohammed Game fino ai recenti attentati di Parigi, la storia dell’evoluzione del fenomeno jihadista in Italia e in Europa , ripercorrendo anche le modalità con cui le nostre forze dell’ordine, e in particolare la polizia di stato, si sono confrontate con la deriva estremista sotto il profilo investigativo ma soprattutto come hanno svolto al meglio il ruolo di interlocutore e suggeritore per i governi che si sono succeduti nel tempo e che hanno elaborato norme in grado di contenere ed arginare il fenomeno criminale.

Video intervento via Horsemoon Post Youtube

DIY&Società civile

Il dottor Galzerano ha posto l'accento ancora una volta sulla definizione abusata di attentatore fai da te, che è piuttosto una semplificazione ad uso e consumo dei media, sottolineando come invece il processo che porta dalla radicalizzazione alla realizzazione dell’attentato, sia costituito da tutta una serie di fasi che possono avere numerosi testimoni, anche indiretti, che devono rendersi disponibili per allertare le forze dell’ordine e i servizi segreti al minimo segnale ravvisato.
Non lo ha detto, ma credo possa trovarsi d’accordo in linea di principio, sul fatto che al giorno d’oggi i segnali possono essere impercettibili e male interpretati e che gli ambienti in cui matura l’evento criminoso ormai sono svariati. Non necessariamente la cosiddetta società civile come lui la ha caratterizzata (scuole, servizi sociali, strutture sanitarie, moschee) può bastare a formare un cordone di anticorpi in grado di scongiurare un attentato. L’esempio citato dell’imam della moschea di Milano che l’anno scorso ha allertato la Digos perché un frequentatore della struttura religiosa gli avrebbe chiesto di metterlo in contatto con qualche reclutatore, è un caso limite. Oggi il pericolo viene un po’ da tutte le fasce della popolazione, ma soprattutto dai giovani.
La crescita improvvisa di una barba o il passaggio dal velo al burqa deve risvegliare l'attenzione senza allarmare più del necessario. Bisogna rivolgersi alle famiglie e alle comunità, anche a quelle non musulmane, non solo per chiedere di segnalare ma per insegnare loro a dialogare. A farsi cioè delle domande e a porle anche, nel modo giusto, al soggetto sospettato.
A svolgere quindi una sorta di indagine preliminare in grado di accertare se si è in presenza di un cambiamento naturale o di un segno premonitore che qualcosa di nefasto sta per accadere.
In questo senso il comparto antiterrorismo deve essere più attivo .
Il dottor Galzerano diceva che stanno iniziando ad orientarsi verso un livello maggiore di apertura e confronto. Non basta. La polizia deve fare di più, così come ha fatto anni addietro per creare circuiti di supporto a donne e bambini abusati . Quando il governo latita e la società civile è ancora divisa o poco consapevole, la polizia deve necessariamente funzionare da surroga e spingere tutti a fare rete, come ricorda di solito il prefetto Rizzi in interventi in cui anche lui traccia l’evoluzione di fenomeni criminali che scaturiscono da un certo tipo di disagio sociale. Surroga che ovviamente non deve andare oltre determinati limiti temporali e non deve permettere alle parti chiamate in causa, di continuare a procrastinare il proprio impegno.

SuperGalz

Diceva ancora il dottor Galzerano, che quando un attentato ha luogo, questo è il segnale del fallimento della polizia di prevenzione.
Forse una volta, e non considerando che il jihadismo così come l’attività investigativa, si è evoluto.
Quante Questure negli ultimi mesi possono vantare di aver rigettato la richiesta di un ragazzino che voleva manifestare pubblicamente il suo dissenso bruciando le bandiere d’Israele ? E quante Digos hanno imbeccato, proprio grazie ad una richiesta del genere, un filone di indagine divenuto negli anni una risorsa per altre inchieste anche a livello internazionale ? Credo nessuna.
Sono passati solo quattro anni da quel giorno in cui Anas el Abboubi presentò quella richiesta in apparenza bislacca al Questore di Brescia, ma per quanto i bamboccioni arrestati o indagati negli ultimi mesi sembrino tutti cloni l’uno dell’altro, gli scenari e i personaggi sono drammaticamente cambiati.
Si può espandere il raggio d’azione del monitoraggio ed effettuare un fermo quando necessario, ma siamo in una democrazia. Come ricordava il dottor Vidino a proposito delle critiche feroci che ancora investono l’Fbi, non si può arrestare tutti, tantomeno prevedere che uno in mezzo a cento sarà quello in grado di mettere in atto una carneficina.
La prevenzione in Italia viene fatta in maniera egregia.
Più che di fallimento, se si verificasse un attentato ai giorni nostri, parlerei di presa di coscienza della realtà. Ho virtualmente ribattezzato il dottor Galzerano “Supergalz” per simpatia oltre che per la profonda stima che nutro nei suoi confronti, ma seguendo la polizia di stato in questi anni ho imparato che i poliziotti non sono super eroi né loro pretendono di esserlo perché in fondo a poco serve. Una volta messo in campo tutto il bagaglio di esperienza e professionalità che possiedono, ci sta anche che sbaglino. Oggi più che mai nel campo della criminalità, organizzata e non, l’imprevedibile è impercettibile e quindi difficile da prevenire.

بسم الله‎‎

Usando forma ed espressioni in maniera corretta come sempre, evitando anche la locuzione terrorismo islamico, il dottor Galzerano ha stigmatizzato le strumentalizzazioni politiche e mediatiche che portano di solito a puntare il dito contro la religione e i suoi seguaci o anche contro gli immigrati.
Ha concluso osservando che alla fine però, l'attentatore si lascia esplodere nel nome di Allah.
La matrice è quindi chiara.
Un fatto questo che nessuno vuole negare e una semplificazione che si può concedere al funzionario che analizza le vicende in ottica investigativa .
Se però si vuole risolvere il problema alla radice, bisogna chiedersi in nome di quale Allah si fanno esplodere questi individui e se la religione sia effettivamente la componente decisiva così come lo era all'epoca di al Qaeda. Basta andarsi a leggere qualche scritto di Anwar al Awlaki o di Abdullah Azzam che ancora hanno largo successo anche tra i simpatizzanti di Daesh. Dopo le prime venti righe di citazioni e commenti inecceppibili dal Corano e dai detti del Profeta, inizia il tormentone sulla società occidentale e sulle famiglie che ormai sarebbero ridotte ad entità di miscredenti. E sul ruolo che i giovani possono avere nel cambiare questo stato di cose.
Questo è il modo in cui li si manda a morire. Stravolgendo i testi sacri e facendo leva sulle criticità della società occidentale che oggi sono aumentate a dismisura. Cose che magari all'investigatore non interessano se non nel momento in cui ha il potere di suggerire al legislatore una maniera adatta per interagire con le comunità islamiche o anche con i singoli in modo da scongiurare la deriva.

Non è la gelosia 

Citando l’esperienza italiana del comitato analisi strategica e quella maturata da lui stesso a capo del terrorism working party nel corso del semestre di presidenza europea, il dottor Galzerano ha ricordato come la circolarità delle informazioni e l’esportazione delle buone pratiche sia di fondamentale importanza quando la lotta al terrorismo viene portata avanti assieme agli altri stati. E quanto sia altrettanto importante la funzione di coordinamento svolta dall’Europol. Magari lo pensa anche lui ma non può dirlo, però bisogna ricordare in maniera brutale, che le polizie di tutto il mondo alla fine dei conti sono organi al servizio di governi e ministeri. E che l’interesse nazionale è cosa ben diversa da quello di polizia giudiziaria. Tocca rispolverare al solito l’inflazionato caso Abu Omar.
Mentre la Digos investigava su un presunto terrorista, i servizi ne organizzavano assieme alla Cia le vacanze estive. E dov’era l’Europol, o anche le autorità italiane, tutte le volte che Sabrina De Sousa era in visita in Portogallo prima dell’ultima che le è stata fatale ? Dov’era il funzionario Interpol di Panama quando Seldon Lady è stato arrestato e rilasciato ? Perché quando la polizia nigeriana ha iniziato ad indagare sulla questione Eni-Opl245 si è trovata di fronte al muro eretto da tutte le polizie interessate, mentre al termine di un'operazione antifrode, che veniva in soccorso quindi di interessi bancari, condotta assieme alla nostra polizia postale, alla polizia spagnola, ad Europol ed Eurojust, si è addirittura vista elogiata nei comunicati di chiusura di tutti i partecipanti ?

Io non ho dubbi che funzionari di polizia come il dottor Galzerano collaborino all’interno del Casa con il solo scopo di condividere le informazioni che possono mettere in sicurezza il Paese.
Però se l’interesse nazionale del momento prevede che venga creato clamore mediatico attorno ad un pericolo o ad un latitante medio-orientale o africano per favorire gli interessi di una multinazionale che lavora con Eni o Finmeccanica, molto probabilmente qualche informazione sul tavolo del Casa non ci arriva o arriva in forma incompleta. Non è questione di superamento di gelosie o piccole invidie all’interno dei singoli Paesi o dell’unione europea.
E’ la ragion di stato. Quella che copre tutte le marachelle istituzionali.
Poi che il Brexit possa provocare seri problemi alla sicurezza, cosa che il dottor Galzerano ha sostenuto con maggiore equilibrio rispetto ai suoi colleghi europei, quello è tutto da provare.
La Gran Bretagna appartiene comunque ad un contesto internazionale e ad organismi che impongono un certo livello di collaborazione. Doveri ai quali non si può sottrarre.
A proposito della diversità di vedute tra i vari stati europei ma soprattutto tra quelli del nord e il resto, a me pare ma è un’impressione, che Galzerano segua la stessa logica dell’antimafia. Dovremo imporre cioè anche le nostre leggi. Le leggi sono il frutto della storia di un Paese. Noi siamo la patria di mafia e camorra e le abbiamo in un certo senso esportate. Ma abbiamo esportato il fenomeno criminale, non la cultura che le ha generate. Se Paesi come la Norvegia insistono nel voler tenere un atteggiamento garantista pur soffrendo molto più di noi il fenomeno del terrorismo di matrice jihadista, dobbiamo comunque rispettare il loro desiderio di non voler cambiare più di tanto il corredo normativo e il proprio stile di vita. Forse dovremmo anche seguirne l’esempio.
Il dottor Galzerano ovviamente guarda il problema sempre dal suo punto di vista.
Però a me che sono una normale cittadina la cui sola colpa è quella di essere una convertita, quando iniziai ad occuparmi con maggiore frequenza di questi fenomeni e a scriverne, tremavano letteralmente le mani prima di pubblicare un post. E ogni volta che scarico un documento che non necessariamente uso per scrivere sul blog ma che mi interessa, viene il dubbio che uno come lui o un magistrato qualsiasi possa contestarmene il possesso.
La cultura della prevenzione è importante, come ha sottolineato spesso lo stesso funzionario della polizia di prevenzione nel corso del suo intervento. Però bisogna stare attenti a non trasformarla in cultura della paura. Ammoniva Galzerano a non intossicare il circuito informativo.
Ma quante volte queste intossicazioni, specie qui in Italia, provengono dai palazzi del governo, da funzionari di forze dell’ordine e servizi ?

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