mercoledì 29 giugno 2016

Back to hell

Terrorismo, ricercatrice libica torna in carcere: "Propaganda per Al Qaeda" „Nel pc dell'indagata sono state rinvenute una serie di immagini inneggianti alla jihad, la riproduzione di una sorta di proclama della guerra santa, guerriglieri islamici davanti a corpi ammassati in una fossa comune, il pavimento insanguinato di una stanza e la foto di un bambini kamikaze. Materiale che sarebbe stato inviato ad alcuni amici, tra cui dei militanti dell'organizzazione Ansar Al Sharia Libya, bandita dalla Nazioni Unite. Gli inquirenti hanno ricostruito anche la sua rete di contatti in città. Per questo 5 suoi conoscenti - un cittadino tunisino, un marocchino, due libici e una palestinese anche lei impegnata nello svolgimento di una borsa di studio all'ateneo del capoluogo dell'Isola - si erano visti portare via dalla Digos computer, telefonini e pendrive.“palermotoday

Ennesimo follow up.
Ormai tra storico e new entry ho un archivio al posto del cervello.

Oltre a mettere in evidenza quanto sia difficile di questi tempi distinguere tra reato di opinione ed istigazione, questo caso ha attirato l'attenzione dei media a causa delle solite strumentalizzazioni politiche e delle ancor più solite diatribe interne classiche dei palazzi giudiziari siciliani.
Per comprendere come siano andate effettivamente le cose è di fondamentale importanza incrociare i dati relativi all'attività che l'inquisita ha posto in essere sui social network, con quelli provenienti dalla sua vita offline. Cosa che alla luce del decreto antiterrorismo, che obbliga gli investigatori a dedicare la maggior parte dell'indagine alla rete almeno in fase preliminare per giungere alla formulazione dell'accusa, non è di facile realizzazione.
Per tutto quello che riguarda l'attività sui social (in questo caso mi pare che fosse concentrata su Facebook) ormai le Digos hanno raggiunto un livello di vera eccellenza in quanto riescono a raccogliere ed analizzare dati nel contesto e in maniera da inquadrare il livello di coinvolgimento del soggetto attenzionato. Un like, un retweet o anche una risposta ad un post generico non possono costituire di certo un atto di incriminazione, ma vanno valutati a seconda di background, inclinazione generale, intensità delle interazioni con altri utenti o protagonisti noti e controversi della vita virtuale.
A questo punto viene in soccorso il resoconto della vita offline che purtroppo nel caso della dottoressa Shabbi è abbastanza controverso. Si è parlato di un fratello, poi morto nei combattimenti in Libia, che voleva far venire in Italia, di contatti o legami (la stampa locale non fu molto chiara sul punto lo scorso anno) con due foreign fighter europei e di un trasferimento di denaro verso la Turchia.
Essendo la Libia nel caos, soprattutto quando fu arrestata, a quanto è dato sapere non si è nemmeno potuto beneficiare di supporto da parte delle autorità libiche. Siamo a conoscenza comunque del fatto che l'Ambasciata libica, almeno all'epoca, le versava uno stipendio mensile.

In attesa del prossimo capitolo.

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