venerdì 24 giugno 2016

A Casa di Mangiafuoco

“Dobbiamo mettere in campo tutti gli attori del territorio - ha detto Claudio Galzerano della direzione centrale della polizia di prevenzione dipartimento di pubblica sicurezza - dalle autorità civili e militari, a chi opera nella giustizia e nel sistema carcerario, fino ai servizi sociali e alle strutture sanitarie”.piacenzasera


Il progetto totalitario, anche ammesso che sia mai esistito, è una favola che ci raccontiamo da tempo per giustificare una guerra che non riusciamo a vincere e per trovare le motivazioni al fatto che durerà in eterno.

Sapeva tanto più di progetto quello di al Zarqawi, che dal suo covo iracheno lanciava sortite dalla Giordania al Libano, che quell’accozzaglia di gente messa assieme dal califfo per combattere non si sa per cosa. Vecchi guerriglieri provenienti da Somalia, Afghanistan e Cecenia, rattoppati assieme a bamboccioni inglesi che litigano per lo shampoo e non riescono a trovare moglie.
Ieri gli arabi nelle madrase afghane facevano a botte con i talebani accusandoli di predicare un Islam duro. Oggi i ragazzini americani fuggono dalla scuola di Sharia per gettarsi tra le braccia dei curdi.
Il potere totalitario sarebbe in mano a un giovane iracheno pingue che somiglia più a Mangiafuoco che a un combattente, e che non è nemmeno stato capace di mettere in salvo moglie e figli come fecero Saddam e Ghaddafi. Li ha lasciati nelle mani dei libanesi che ne hanno fatto merce di scambio con i prigionieri di al Nusra. Colpito dalla fatwa di uno sheikh lasciato marcire nelle carceri saudite, il giovanottone iracheno non ha saputo fare altro che ammazzare i suoi seguaci. Quegli hazimiti che, ironia della sorte, erano corsi in massa a sottomettersi proprio a lui.
L’omone che si dà le arie da califfo ha a guardia del suo forziere una nostra vecchia conoscenza.
Quel macedone mingherlino che correva su e giù per le montagne con i suoi compari. Gli imam fai da te che ordinano la morte spacciandola per martirio e solo per gli altri ovviamente. Non per se stessi.
Povero Munifer Karamaleski. Bastava fargli prendere la licenza da ragioniere e dargli un lavoro qua, per evitargli la guardia alle casse del padrone. Eppure nemmeno quello siamo stati capaci di fare.

Osama bin Laden non aveva un progetto. Non come lo intendiamo noi almeno.
Ma aveva delle idee e le mandava in giro. Non aveva bisogno di fare la video star. Di andare a pontificare sui social. Di giocare a fare il one direction boy del medio-oriente. Consegnava a mano il suo bel discorso e corriere dopo corriere quelle parole infiammavano i cuori dei giovani. Di tutti i giovani. Dagli arabi oppressi che in lui vedevano incarnato il rivoluzionario, agli americani di seconda generazione che ancora oggi sputano in faccia al sogno americano.
Osama oggi è talmente più vivo di Mangiafuoco, che ogni volta che al Zawahiri lancia uno dei suoi sermoni, lo fa seguire la settimana dopo da un discorsetto del piccolo Bin Laden. Hamza.

Il progetto, se c’era, è fallito.
E’ il ritorno alla guerriglia, come diceva il maggiordomo di Mangiafuoco settimane addietro.
Il problema è che se Daesh è ben lontano da cantare vittoria, noi non è che siamo messi meglio.
E lo sa bene il buon Galzerano che parla di impegno corale ben conscio che questo esiste più a parole che con i fatti e allora ci mette una pezza col solito Casa.
Il musulmano chiede un accordo con lo stato che non gli verrà concesso nemmeno da qua a cent’anni. Il giornalista di grido vanta rivelazioni che persino i pupetti dei video di Daesh conoscono.
Lo sbirro si attacca agli anticorpi e agli attori.
Daesh non è progetto. Noi al solito, tentiamo in maniera goffa di esserlo.

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