martedì 17 maggio 2016

Quando lo storico straripa

Proprio così: la gente. È quella che, a proposito dei sei arresti in Lombardia per supposti e sospetti casi di fiancheggiamento al terrorismo e alla guerriglia jihadista, ha sepolto il Ros e la Digos di messaggi d’ogni genere denunziando vicini, svelando complotti, facendo nomi e cognomi, passando addirittura la “registrazione” di “conversazioni in arabo” fra “terroristi” (una era tra un albanese e un bosniaco: musulmani probabilmente entrambi, ma è difficile che potessero parlare “fluently” in arabo al telefono...).

Singolari dichiarazioni, queste di Roberti. I fatti concreti non sono granché. I nostri organismi di sicurezza hanno sorvegliato delle persone evidentemente indiziate in quanto collegate a due “foreign fighters” marocchino-lombardi, dei quali uno morto e un altro scomparso con la famiglia. Corretta procedure ispirata a una strategia preventiva del tutto condivisibile e lodevole. Ne è emerso il quadro di un piccolo ambiente nel quale circolano fanatismo jihadista, rancore, propositi di attentati. Basta ciò a definire il gruppetto dei quattro arrestati una “cellula di jihadisti”, sia pure “presunti”? Le chiacchiere e le millanterie sono davvero “propositi”? E in quali concreti progetti, in quali credibili azioni se non effettuate quanto meno pianificate e preparate si sarebbero tradotti? Livello di operatività “basso”, lo ha definito Roberti: certo, più basso di così sarebbe difficile. Ammettendo che tracce concrete di attentati non se ne sono trovati, egli aggiunge che evidentemente si è intervenuti in fase “molto anticipata”.
Siamo davanti a un interessante caso di costruzione della lotta contro il terrorismo. Si beccano due chiacchieroni della profonda provincia lombarda, quella il cui governo regionale vorrebbe impedire la costruzione delle moschee (e forse, scegliendo una via diversa da quella della negazione di un diritto costituzionale, magari seminerebbe anche in giovani teste calde un po’ meno di rancore, anticamera dell’odio e quindi del terrorismo). laprovinciadilecco

L’immagine della dottoressa Villa sempre defilata nelle conferenze stampa rispetto ai rappresentanti di comparti che svolgono attività di natura tecnica e l’appello del direttore della seconda divisione antiterrorismo alla popolazione di Cosenza a segnalare, seguito il mattino dopo sui giornali locali da un coro di conoscenti di Hamil che giurava di non aver notato nulla di atipico nei suoi comportamenti, sono la sintesi della confusione che regna a proposito del terrorismo moderno.
Confusione che alberga anche nell' intervento, come al solito magistrale, del professor Cardini il quale ha purtroppo effettuato una analisi molto approssimativa e viziata dal raffronto tra i vari livelli che racchiudono una vicenda complessa come quella delle famiglie Khachia, Koraichi e Moutarrik.

Ricordiamo la tragica morte in Siria del figlio dell’imam di Sellia Marina dopo essere stato giustamente scarcerato (fa testo la sentenza del tribunale del riesame) e avendo ottenuto anche un risarcimento adeguato. Quel ragazzo era innocente, almeno sotto il profilo giudiziario, ma ha voluto diventare per forza colpevole.
Il decreto antiterrorismo, più adatto a terre e popolazioni del Caucaso, è stato concepito con la consapevolezza della imprevedibilità dei comportamenti del potenziale foreign fighter o terrorista e anche del fatto che non si ha la capacità o forse la volontà di elaborare un piano di prevenzione globale teso ad intervenire sulla sfera privata e sociale dalla quale il fenomeno criminale trae origine.
Un intervento simile a quelli fatti nelle terre di mafia e camorra o per le donne abusate e violentate. E anche nelle scuole dove oltre alla legalità si insegna un pò di convivenza civile.
Nel Paese in cui il primo ministro aspetta di andare in visita in Iran per dichiarare che terrorismo e Islam non sono la stessa cosa, il ministro dell’interno fa campagna elettorale schierandosi contro la costruzione delle moschee a Milano, politici e giornalisti strumentalizzano in continuazione l’operato delle forze dell’ordine, non ci si può aspettare altro che la graduale ghettizzazione dei musulmani con conseguente innalzamento del livello di gradimento , soprattutto tra i più giovani, della ideologia di Daesh. E allora non rimane che mettere a punto una legge estremamente repressiva che faccia da tappabuchi.

Ma a proposito del caso Koraichi, non è da sottovalutare la rilevanza delle manifestazioni su internet o attraverso whattsap. L’impressione è che pochi abbiano veramente compreso le insidie che la rete offre. I meccanismi che animano l'ambiente virtuale sono pochi e semplici, e sempre gli stessi. Ricorrono in maniera costante nei comportamenti delle persone affette da disagio di vario tipo e che spesso sconfinano in atti criminali.
E’ vero che su internet tutto è amplificato o esagerato. Bisogna però stare attenti a non usare questa semplificazione per sottovalutare la sostanza dei fenomeni.
E' estremamente difficile prevedere se e quando certe intenzioni verranno messe in atto in concreto.
E parte delle intenzioni degli indiziati, come la volontà di partire per andare a combattere, è chiaramente dimostrata non solo dai dialoghi ma anche dai movimenti bancari. Così come lo è l’attività di proselitismo e reclutamento.
Il professor Cardini farebbe bene a leggersi le carte. C’è in gioco la vita delle persone. Non solo quella delle potenziali vittime di attentati o azioni di guerra. Ma soprattutto quelle degli indiziati. Non si fa un piacere a Salma e Abderrahim quando si avalla la tesi delle chiacchiere. Hanno la responsabilità di crescere due bambini. Non si fa un piacere ad Abderrahmane convincendolo che le sue erano solo fanfaronate. Così come, pur rispettando il dolore della famiglia Khachia ed apprezzando i buoni sentimenti di Oussama a difesa dei siriani oppressi, non si può dimenticare che l’ideologia e le azioni degli appartenenti a Daesh sono di stampo nazi-fascista.
Qualcosa al di fuori dell’umano.

Il decreto antiterrorismo va sicuramente migliorato.
Ma non sottovalutiamo il problema credendo che questo sia un modo per migliorare la percezione generale che in Italia si ha dell’Islam e dei musulmani .
Non confondiamo i vari aspetti che caratterizzano questo tipo di vicende, a partire da quello umano fino alla dimensione socio-politica.
E soprattutto non carichiamo l'apparato investigativo-giudiziario di funzioni che non gli competono.
La prevenzione e repressione di manifestazioni criminali è una cosa.
Risolvere il disagio che sta alla base di esse è altro e richiede anche altri tipi di intervento.
Il modo in cui la società si confronta con questi fenomeni è un ulteriore aspetto da curare.
C'è bisogno di una strategia.

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