domenica 8 maggio 2016

Plagiata da canne e piadina

L’hanno indotta a fare uso di sostanze? «Sì e da quel momento sono iniziati i problemi. Non riuscivo più a seguire le regole dei miei genitori, mi sentivo libera e parte di un gruppo».Rinnegavamo insieme l’Italia e i bianchi. Volevo scappare, lasciare il paese. Durante quei mesi hanno cercato di inculcarmi in tutti i modi l’odio verso l’Italia, spiegando come in questo paese non vi fosse posto per le persone di colore e ricordandomi come solo l’Islam mi avrebbe salvata».
«Mi interessava, mi affascinava; la sentivo più vera della nostra. Ad esempio loro commettevano reati, ma non mettevano mai da parte il loro credo. Avevano dei punti fermi da rispettare, come il Ramadan. Essere islamica, sentirmi islamica, mi faceva sentire più forte, più grande. È come se loro mi avessero dato un’identità che oramai sentivo di avere perso».«È così, volevo scappare, magari nel mio paese, magari in un altro luogo indicato da loro».
«No, anzi, mi pento tutti i giorni di aver intrapreso e seguito per troppo tempo la strada sbagliata e per avere provato odio ingiustificato verso tutti, compresa la mia famiglia che, invece, non smetterò mai di ringraziare. Oggi abbraccio la mia religione, quella cristiana».Crede che il loro intento fosse quello di indottrinarla per poi farla fuggire verso la Siria o altri luoghi? «Pensandoci lucidamente credo di sì. E credo anche che, oggi, se mio padre non mi avesse chiusa in casa, non sarei qui a parlarne». carlino modena

Anche Riina e Provenzano non hanno mai messo da parte il loro credo.

In questa vicenda c’è traccia di Islam di facciata, visto che si parla solo del digiuno del Ramadan, e a quanto è dato capire i ragazzi non erano nemmeno simpatizzanti di Daesh.
Si tratta di una ragazzina che vivendo in un Paese molto poco accogliente come il nostro per usare un eufemismo, e forse avendo anche problemi a relazionarsi con la famiglia come tanti adolescenti, si è sentita alienata e ha trovato rifugio tra coetanei stranieri e di colore come lei, che la ha instradata sul sentiero delle droghe convincendola a diventare musulmana o ad atteggiarsi come tale, per avere una identità in modo da superare anche le differenze di etnia all’interno del gruppo.
Lei voleva scappare comunque. Aveva bisogno di una spinta.

Nei processi di radicalizzazione vera e propria, raramente i ragazzi si accorgono di essere vittime.
Il reclutatore o lo sheikh nel costruire le sue reti di relazione, e non solo con i giovanissimi, ha vita molto facile nel dimostrare l’ipocrisia dell’occidente, il razzismo imperante delle nostre società e il fatto che le famiglie si siano troppo occidentalizzate a scapito della religione e delle culture di provenienza. E’ quanto effettivamente accade ed è tutto amplificato da media ed Internet.
Di solito ci si accorge del tranello solo dopo essere entrati nel califfato.
Ecco perché è importante fare campagne di prevenzione.
Ma i casi su cui bisogna accendere i fari per allertare i ragazzi e le loro famiglie, e anche amici e conoscenti, non hanno nulla a che vedere con la storia raccontata nell’ articolo.
E soprattutto bisogna affidare questo compito a persone competenti e disinteressate.
I ragazzi sono una risorsa. Vanno aiutati. Non strumentalizzati.

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