domenica 13 marzo 2016

Il ritorno del verme in valigetta

Quando venne nominato alla guida dell’Aise, i giornalisti salottieri si affrettarono a caratterizzare il generale Manenti come la persona che conosceva gli ingranaggi e quindi il più adatto all’arduo compito di proseguire l’opera di ricostruzione avviata all’indomani di note vicende che avevano gettato un’ombra sulla onorabilità dei servizi. Qualche sito invece, di quelli che ama raccogliere gli umori di agenti mancati o frustrati, lo descrisse come un uomo senza particolari talenti o capacità ma molto caparbio. Poco più di un burocrate, quasi un ragioniere dalla personalità a tratti opaca, che ebbe l’accortezza di mettersi al seguito dell’allora direttore dell’ottava divisione per carpirne i segreti del mestiere e soprattutto per dare la scalata al servizio in maniera agile e veloce.
Si è tornato a parlare in questi giorni dell’ammiraglio Grignolo in relazione ad una vicenda che egli ritenne di dover rendere nota nel lontano 2003 nel corso di un’audizione dinanzi alla commissione Mitrokhin e che vedeva come protagonista una figura che è ormai un classico nel mondo dello spionaggio, ovvero un doppiogiochista al servizio dell’Unione Sovietica che imperversava negli anni novanta e che non si riuscì mai a stanare. Nome in codice “il verme”.
Secondo l’ammiraglio, il Sismi venne a conoscenza del possibile ruolo di un agente italiano grazie alle informazioni avute direttamente dai servizi di sua maestà nel 2000. In realtà i contorni internazionali della vicenda, nella cui cornice era compresa anche la telefonata spiata tra Blair e Berlusconi, vennero resi noti dal Telegraph che non fece menzione dell’italiano, proprio un mese prima dell’audizione di Grignolo. Si parlava di una stretta collaborazione tra servizi russi ed iracheni i quali ricevettero tra le altre cose, una lista di soggetti disponibili ad eseguire omicidi eccellenti in Occidente. In Inghilterra la rivelazione servì a gettare un’ombra sulla luna di miele tra Blair e Putin alla quale il premier inglese aveva lavorato con tanto fervore. In Italia diede lustro all’avventura della commissione Mitrokhin e rafforzò l’immagine negativa del Kgb.
Se fossi il generale Manenti lascerei perdere certe strategie.
Piuttosto userei il pugno di ferro per fare ordine.
Altro suo tratto caratteristico. Ita dicunt. 


"Ma noi avremo la possibilità di ricostruire tutto il percorso e sarebbe illogico cercare di tenere nascosta proprio a noi una scelta di questo tipo anche solo per alcune settimane. Anche perché ci potrebbero essere delle conseguenze gravi".ilvelino

Che il governo italiano fosse a conoscenza del raid americano di Febbraio, circostanza resa nota dal presidente del consiglio qualche giorno fa, non è un elemento significativo.
Si tratta di nozioni che i nostri uomini in loco (a fare una media di quello che scrivono i giornali, con buona pace delle veline di Bianconi, dovrebbero essercene al massimo una decina) e l'ufficio analisi dell'Aise dovevano ampiamente sapere.
L'esigenza di bombardamenti e lanci di droni nasce dalla consapevolezza che finchè non si trova un accordo sul terreno tra le tribù, più che tra i governi, l'unico modo di tenere sotto controllo la situazione è quello di evitare che le derive estremiste evolvano.
E infatti ci si aspettava di "beccare" Chouchane sin dai lanci dello scorso autunno ma il corredo informativo all'epoca era molto povero. Un'altra ragione per la quale si era alla spasmodica ricerca di questo soggetto è che si sospettava sin da allora che le reti che andava sapientemente costruendo tra Tunisia e Libia, si stessero espandendo in Europa.
Questo è quello che andrebbe chiesto agli uomini del generale Manenti e al nostro antiterrorismo.
Quanto è concreto attualmente il pericolo di attacchi diretti o orchestrati dal Maghreb.
Ormai il quadro dovrebbe essere meno sibillino per tutti.

E' chiaro che governo e Bonatti stavano lavorando ad una trattativa che probabilmente coinvolgeva soldi. Inutile continuare a negare.
Quella che in genere il senatore Stucchi definisce contropartita ( dispositivi elettronici, medicazioni e cibo) non è da meno rispetto ad un contributo finanziario.
Anzi. Li mettiamo anche in condizioni migliori per continuare nei loro propositi.
Eviterei l'ipocrisia. Se non vogliamo salvare le vite dei nostri connazionali, basta deciderlo a priori.

A proposito di vite umane, la stampa italiana è venuta a conoscenza finalmente dell'esistenza di Franco Giorgi. Non per aver letto i resoconti delle audizioni della commissione Alpi-Hrovatin o gli articoli della stampa marchigiana ma grazie ai lanci di agenzia sul rapporto Onu.
Giorgi va salvato come gli altri. Poi dei suoi traffici si occuperà la magistratura. Ma va salvato.
E' scritto nella Bibbia, nella Tora e nel Corano. Chi salva una vita è come se avesse salvato l'umanità intera.
Se lo stato decide di lasciarlo al suo destino vuol dire che da Abu Omar ad oggi non è cambiato nulla.
Allora si consegnò un presunto terrorista a dei torturatori. Oggi si lascia morire un presunto trafficante d'armi. Non è comportamento da istituzioni questo.




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