venerdì 25 settembre 2015

Di vettori e centurioni spavaldi

«agli atti della Divisione del Servizio di appartenenza del Dott. Mancini… (che Finasi) otterrebbe regolarmente i pagamenti di tutte le commesse (ricordiamo che opera in una vastissima gamma commerciale) ricevendo con molta facilità visti di ingresso e trattamenti privilegiati in relazione ai contatti stabiliti con alte personalità libiche. Da evidenziare inoltre che, in via strettamente confidenziale, si è potuto apprendere che Finasi Spa sarebbe un ottimo ‘vettore’ per stabilire rapporti commerciali con personalità diplomatiche e militari libiche vicine al Colonnello» Claudio Gatti blog



Alle capacità vettoriali della Finasi, o meglio di quello che sarebbe il suo amministratore unico, è facile risalire attraverso una piccola ricerca.

Enrica Pinetti più che un vettore è una forza della natura.
Si muove con maestria tra continenti e protagonisti anche al di fuori del mondo del business.
A lei dobbiamo la visita bergamasca del controverso presidente Museveni etichettato dalle organizzazioni per i diritti gay come omofobo per alcuni suoi punti di vista che ha comunque spiegato ai microfoni dei giornalisti italiani.
La Finasi, come giustamente sottolinearono i difensori del dottor Mancini, è una azienda che opera nei settori più disparati. E infatti in Uganda, oltre ad essere di casa, è impegnata da anni su vari fronti commerciali. Dall’edilizia alla sanità fino al caffè.
Il presidente è talmente grato alla signora Pinetti per il contributo dato alla modernizzazione del suo Paese, che quando questa fece presente con una lettera di denuncia che nel corso di un’asta pubblica per la costruzione di un complesso ospedaliero le era stato chiesto un venti per cento sottobanco per ottenere il contratto, il responsabile delle operazioni fu messo alla porta senza possibilità di difendersi. D’altra parte come ricordò lo stesso Museveni, le infrastrutture sanitarie per un Paese come l’Uganda sono fondamentali per contrastare la concorrenza. Specie quella indiana.

E' difficile immaginarsi una donna tanto accorta e capace a contatto con personaggi controversi.
Però il commercio porta anche verso certi lidi.
La signora Pinetti rimase affascinata dalla dialettica dell'onorevole Mannino e parte di un suo contributo elettorale finì per puro errore nelle casse di tal Mimmo Miceli ex-assessore comunale e imputato di reati per mafia. L'intento era quello di investire assieme ad una cordata lombarda in Sicilia e come le spiegò un manager locale che nascondeva un passato non proprio edificante, Totò Cuffaro aveva un programma politico in grado di ridare una spinta all'isola. Così la signora versò un assegno per il quale non ottenne ricevuta e che però non fu registrato come contributo ma girato e suddiviso con un altro beneficiario.

Non avendo seguito il processo Abu Omar e non disponendo del testo completo della richiesta dei legali della difesa Mancini rimane difficile trovare un collegamento tra la rendition e la Finasi.
Però tenendo a mente che l'onorevole Cuffaro era un amico dei servizi tanto da ricevere sul suo telefono almeno sessanta chiamate dal famoso ufficio di via Notarbartolo in uso sia a Sismi che Sisde, un'ipotesi la si può azzardare.
Quell'ufficio, fu proprio il dottor Mancini a chiarirlo ai magistrati palermitani, serviva per tenere d'occhio quanto avveniva in Libia. E la Finasi da quelle parti, così come in tutte le aree in cui c'è profumo di petrolio, è ben accreditata.
Ma si può lavorare in Libia senza essere almeno introdotti dal Sismi o dall'Aise e senza fornire una contropartita adeguata ? Probabilmente no.

Il riferimento ai vettori si incastra con la trattativa che Berlusconi intavolò con Gheddafi proprio nel 2003 qualche mese dopo il rapimento di Abu Omar, circa il rimpatrio, se così lo si può definire, di profughi.
La domanda che spesso ci si è posti per quanto riguarda la rendition italiana è a cosa servisse il Sismi per una operazione che in fondo la Cia avrebbe potuto realizzare in solitudine. E quello che sembra più strano ancora è il percorso tortuoso dalla Germania all' Egitto.
Non sarebbe stato tutto più semplice se si fosse mandato Abu Omar in Libia e da lì in Egitto ?
L'Italia era l'esecutore ideale per una impresa così delicata.
La magistratura non se ne sarebbe nemmeno accorta o comunque non sarebbe riuscita a completare l'indagine. Si sarebbe trattato di uno dei soliti casi irrisolti all'italiana.
Ma per un'operazione del genere erano necessari i "vettori" giusti.
E soprattutto una regia politica e d'intelligence adeguata in grado di pretendere un do ut des all'altezza.

Il dottor Mancini sarebbe stato perfettamente in grado di realizzare un progetto di quel tenore.
A Washington stravedevano per lui e in Italia i suoi contatti politici coprivano l'intera piattaforma partitica senza distinzione tra destra e sinistra.
Ma forse questo suo approccio e qualche limite caratteriale poco si prestavano alla portata degli eventi. I suoi interlocutori politici dell'epoca lo descrissero come un tipo sicuro di se. Spavaldo al limite dell'arroganza. Enzo Bianco non ne apprezzava l'atteggiamento in stile "politica da pacca sulle spalle". Fu per questo motivo forse che venne lasciato fuori inizialmente e impiegato poi come semplice esecutore materiale della rendition di Abu Omar tra la Germania e l'Egitto.
Il dottor Mancini pare essersi sempre lamentato di essere stato scaricato sia dal direttore del servizio che dagli interlocutori politici eccellenti all'indomani del suo arresto.
Molto probabilmente l'intento era di disfarsi di lui anche se quella operazione scellerata fosse andata in porto senza problemi.

Ma cosa voleva provare la sua difesa attraverso quei documenti o era un semplice messaggio ?
Prima o poi scopriremo anche quello.
Inshallah.

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