Di norma nel corso di una indagine le intercettazioni vengono trascritte nelle fasi finali.
Questo pare essere accaduto nel caso dell'inchiesta Medea visto che i carabinieri hanno interrogato il consulente informatico a meno di un anno dalla chiusura dell'operazione.
Quando però risulta in fase di ascolto che ci siano elementi eclatanti, e l'episodio del presunto passaggio di mano della chiavetta durante l'arresto di Zagaria decisamente lo è, la persona incaricata delle intercettazioni avverte l'investigatore che coordina l'indagine in modo che il magistrato apra una procedura d'urgenza che consente di acquisire le trascrizioni nel più breve tempo possibile.
Questo evidentemente non è accaduto.
Sul fronte del filone degli accertamenti successivi alla cattura del boss, gli investigatori devono avere acquisito la nozione che la pendrive mancasse non appena il tecnico ha iniziato l'esame dei dispositivi (anche una attività minima è rilevabile nel giro di poche ore) o quando egli ha consegnato i risultati della perizia e quindi presumibilmente non oltre il marzo-aprile del 2012.
Gli inquirenti però non avevano a disposizione il racconto proveniente dalla intercettazione quindi hanno probabilmente fatto qualche ipotesi escludendo alla fine che la sparizione fosse di natura dolosa e che soprattutto tra i responsabili ci potesse essere un poliziotto.
Che il Laurato abbia chiaramente indicato nella sua analisi che mancasse una chiavetta ce lo conferma il fatto che non siano state ordinate ulteriori perizie e che il gip nell'ordinanza parli di "preziose specificazioni" fornite agli inquirenti nel corso dell'interrogatorio dell'ottobre 2014.
Rimane il dubbio sul perchè i magistrati che coordinavano tutti gli accertamenti non abbiano incrociato i dati. Ricordiamo che queste indagini furono probabilmente oggetto di trattazione da parte delle procure di Napoli e Caserta, che nel dicembre 2011 il procuratore Lepore andò in pensione e la nomina del successore non fu immediata, e che alcuni magistrati nonchè investigatori cambiarono sede.
Quindi alla fine della chiavetta veniamo a conoscenza solo oggi in maniera abbastanza fisiologica.
Si potrebbe ipotizzare un secondo scenario.
E che cioè gli inquirenti dell'inchiesta Medea abbiano volutamente trascurato la vicenda perchè questa avrebbe da un lato causato un terremoto sul processo Potenza in svolgimento in tribunale e dall'altro l'indagine sugli imprenditori vicini ai casalesi sarebbe stata bruciata in partenza.
Anche a voler stralciare immediatamente l'episodio dal resto dell'investigazione, il tutto sarebbe stato per forza di cose reso pubblico. In fondo l'unica maniera per accertare le presunte responsabilità di poliziotti più o meno coinvolti era quello di ascoltare immediatamente (anche a farlo oggi ormai le loro testimonianze saranno poco credibili in quanto viziate dal polverone mediatico) Zippo, Pezzella, Fontana e i poliziotti presenti sul luogo dell'arresto di Zagaria.
Si sarebbe trattato di una scelta investigativa più che legittima ma forse è uno scenario che si presta a questioni da servizi segreti.
Quindi per il momento attribuiamo il tutto alla sfortuna e all'itala abitudine di pasticciare e litigare.
«È stato così breve il tempo in cui i poliziotti sono stati soli con Zagaria che mi sembra impossibile qualunque accordo che non sia stato precedente, ma anche questa ipotesi dovrei escluderla per l'impegno e tutte le indagini approfondite che sono state fatte per arrivare al latitante, ma naturalmente questo è un fatto che dovranno valutare facendo le indagini», spiega a “l'Espresso” il procuratore, che aggiunge: «Quando arrivai il covo era ancora chiuso, ma appena ho avuto la certezza che ci fosse Zagaria dentro urlai “lo Stato ha vinto”, subito dopo nell'attesa che aprissero il bunker uscìì fuori per telefonare al procuratore capo. Quando tornai dentro il rifugio era aperto, dentro c'erano due poliziotti, tra cui Pisani, che perquisivano il locale. Io entrai con il collega Raffaello Falcone». l'espressoIn realtà il particolare della doccia era ben noto al pubblico sin dalle prime ore successive alla cattura di Zagaria. Non erano noti i dettagli o le modalità con cui essa fu concessa ed espletata però le testate dell'epoca ovviamente per romanzare ancora di più l'evento, raccontarono della richiesta di Zagaria.
Racconto che si intrecciò con i resoconti dei magistrati che in seguito scesero nel bunker tanto è vero che a leggerli oggi si ha l'impressione che la concessione fu fatta proprio da loro e non dai poliziotti.
Il racconto di Pezzella potrebbe essere il risultato di semplici deduzioni.
Le operazioni si conclusero dopo parecchie ore quindi era naturale pensare che la doccia fu fatta nel bunker e non in Questura e che doccia ci fu, era chiaro dalla figura di uno Zagaria stravolto e rassegnato ma profumato ed elegante. Decisamente tutta un'altra immagine rispetto a quella storica di Brusca con il faccione gonfio e le labbra serrate.
Da altre inchieste e processi abbiamo capito come a Napoli e dintorni le notizie viaggino a velocità della luce. I dettagli potrebbero essere stati acquisiti con estrema facilità dai palazzi della Questura e della procura ma anche da giornalisti e carabinieri.
Il fatto che si parli di una mezz'ora di tempo presumibilmente per indicare l'intervallo tra la cattura e la discesa dei magistrati, quando invece dai giornali dell'epoca e dal procuratore Cafiero oggi sappiamo con certezza che ci furono solo pochi minuti di "buco" lascia intuire come il racconto possa essere stato assemblato a forza di chiacchiere.
Ricordiamo tra l'altro che gli imprenditori immaginavano di poter essere nel mirino e quindi intercettati visto che parlavano dei dispositivi di contrasto di cui Zippo si serviva.
La doccia.
In questi giorni ci si è chiesto perchè a Zagaria si e ad altri no.
Presumibilmente una scelta estemporanea o forse un gesto simbolico tra uomini che per anni e nottate insonni si sono in fondo inseguiti tra di loro.
Forse anche una mano tesa in vista di un possibile pentimento.
A questo proposito molti hanno ricordato l'articolo della giornalista oggi parlamentare nonchè membro della commissione antimafia che svelò nel 2012 l'episodio dei soldi che Zagaria riuscì a portarsi fino al carcere di massima sicurezza.
Storie buone per un pubblico che grazie a Dio è poco pratico di fatti di carcere.
Sappiamo che alla fine al 41bis si può anche pasteggiare a caviale e champagne.
Solo Bernardo Provenzano è destinato a crepare senza che nessuno se ne interessi.
Si noti rispetto a questo frammento di conversazione, la differenza di approccio tra Cafiero de Raho e il giudice Pilla.
Da un lato abbiamo un uomo che ha inseguito Zagaria per anni e che ha una profonda conoscenza delle dinamiche criminali.
Dall'altro un giudice che sta esaminando tutt'altra vicenda (il rapporto tra i casalesi e gli imprenditori) e che però deve dare una interpretazione logica degli elementi che i carabinieri gli forniscono.
Che ci sia una relazione chiara tra il poliziotto amico, il poliziotto tutte cose, la chiavetta e i soldi non è affatto scontato dal fraseggio. L'unica cosa certa è che in quei momenti è accaduto qualcosa.
E viene espresso il dubbio che quel qualcosa possa essere stato individuato da Pisani e da tutti quelli che scesero nel bunker.
Questa al momento è l'unica interpretazione che si può dare di questa intercettazione e dei nomi che vengono fatti.
I napoletani hanno la brutta abitudine di iniziare ed interrompere tanti ragionamenti e di tornare indietro per completarli. Una confusione che alberga anche in questo scambio che può costituire un inizio di indagine ma che a distanza di tanto tempo e con tutte le storie uscite sui giornali da un mese a questa parte, è difficile da dipanare.
Con tutta probabilità il secondo passaggio di mano della chiavetta è stato realizzato con l'ausilio di un poliziotto.
L'ipotesi del poliziotto infedele all'interno del bunker come ha ben motivato Cafiero De Raho è alquanto improbabile. Scenario da film.
Poi per un rischio del genere e una chiavetta così preziosa anche a un uomo temibile come Zagaria c'era da chiedere come minimo un milione di euro.
Forse i cinquantamila erano quegli "spicci" che il boss teneva sempre pronti all'occorrenza e che dopo il blocco dei beni sarebbero tornati utili.


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