domenica 16 agosto 2015

FF di ritorno cioè che mi tieni a fare a casa se non mi hai mai voluto bene

I discorsi del capo della polizia e del ministro dell'interno al forum sul countering violent extremism che ha osservato una tappa italiana qualche settimana fa, erano una chiara indicazione del fatto che al momento l'Italia ha intenzione di risolvere la questione del terrorismo internazionale solo in termini di repressione.
E d'altra parte si tratta di un concetto espresso varie volte dagli stessi vertici dell'antiterrorismo che si sono detti più che soddisfatti della stretta data dal decreto approvato in Febbraio.
Quindi il dilemma sull'affiancamento di misure preventive e di deradicalizzazione per arginare il problema dei lupi solitari e dei foreign fighters di ritorno, attualmente in Italia non si presenta e per un buon numero di motivi.
Innanzitutto la questione è politica.
L'attuale compagine di governo pur essendo fondamentalmente costituita da un partito caratterizzato dall'attenzione dedicata alle questioni sociali, deve fronteggiare una opposizione di stampo fascio leghista che si esalta quando chiamata a discutere su determinate tematiche.
E quella del terrorismo abbraccia anche la questione dei migranti e le politiche in Africa e nel mediterraneo.
D'altro canto le nostre forze dell'ordine, nello specifico il comparto dell'antiterrorismo, provengono da esperienze di terrorismo interno o anche di terrorismo di matrice qaedista maturato nelle moschee, che non fornisce loro il giusto mezzo per comprendere la differenza con il terrorismo moderno .
Quando Lamberto Giannini parla delle espulsioni come se fossero una misura miracolosa da un lato svolge il proprio compito di contrasto e contenimento del fenomeno quindi porta a casa il risultato che gli viene chiesto nell'immediato. Dall'altro nega l'evidenza della modernità dell'evento attuale che è globale in quanto si espande attraverso contatti virtuali e reali e si rigenera nel tempo e nello spazio.
La quasi contemporanea accettazione del patto di alleanza di al Zawahiri da parte del mullah Mansur e la chiamata alle armi del giovane bin laden sono l'espressione di questa globalità che non si esaurisce nelle terre da dove essa trae le origini ma si diffonde ovunque a velocità della luce.
L'intelligence invece, il cui raggio d'azione inizia a monte quindi vedrebbe favorito il proprio operato da programmi di riabilitazione e reinserimento nella società di individui che mostrano segni di radicalizzazione o che se costretti al carcere diffonderebbero le loro ideologie in quegli ambienti, avevano manifestato timidamente mesi fa attraverso l'audizione in parlamento di uno dei loro interlocutori all'Ispi, la volontà che venissero sviluppati piani di deradicalizzazione assieme a mediatori culturali, centri islamici e assistenti sociali.

Si tratterebbe nel lungo termine e soprattutto nell'ottica di una guerra che non finirà prima di dieci anni, di proposte che contribuirebbero concretamente anche ad alleggerire aree come i balcani e il maghreb di presenze e trame pericolose per l'Italia e per l'Europa.
E convincerebbero le varie comunità islamiche presenti in Italia che il governo e le altre istituzioni sono sinceramente impegnati ad integrarli.
Ne risentirebbe anche l'operato delle forze dell'ordine. Se le stime ufficiali riferiscono ancora di un centinaio o poco più di foreign fighters mentre sarebbe corretto parlare di diverse centinaia, questo accade anche perchè amici e familiari hanno paura di chiedere aiuto e non si rendono conto delle dimensioni del fenomeno e quindi della pericolosità e delle conseguenze.
Il terrorismo moderno deve essere trattato alla stregua di mafia e camorra e anche di bullismo e violenza di genere in quanto esso ingloba vari aspetti di altri fenomeni criminali e viene esaltato dal mezzo virtuale. Necessita quindi di sensibilizzazione.
E' un dibattito che non può essere più rimandato.


Returning Foreign Fighters: Criminalization or Reintegration? Charles Lister

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