giovedì 27 agosto 2015

A scuola di spie tra cuscini e lenzuola

In una dichiarazione pubblica resa non proprio in condizioni di serenità l'agente tortellino alcuni anni fa raccontò di aver dormito per esigenze operative in luoghi così angusti che noi cittadini ordinari non potremmo mai immaginare.
Di mio posso vantare tre notti di seguito in aeroporto e una nel deserto però immagino sia poco rispetto agli oneri sopportati dagli angeli dei segreti buoni.
Ma a Marco Mancini sarà mai capitato di condurre un interrogatorio in condizioni leggermente imbarazzanti come accadde nel caso di Edith Tudor Hart ? Magari peggio.

Jim Skardon era considerato un artista nel suo genere. Se un soggetto sottoposto ad interrogatorio aveva qualcosa da nascondere di certo lui lo avrebbe scoperto. Quando andava in missione assieme ad un collega, Skardon non era quello dai modi violenti. Tutt’altro. Lui amava prendere confidenza con il suo interlocutore, mostrargli che lo conosceva bene e che gli conveniva confessare. Dava l’impressione di essergli di fronte per dargli una mano a salvarsi più che per scoprire le malefatte compiute. Per mettere in atto la sua strategia oltre ad un sorriso disarmante usava le sue qualità di affabulatore. Girava attorno agli argomenti. Li riproponeva da diversi punti di vista e in maniera variegata. Alla fine la preda era quasi obbligata a cadere nella sua rete.
Dal bouquet dei tanti successi ottenuti ne mancano però due molto importanti.
Kim Philby ed Edith Tudor Hart.

Il caso Philby era di difficile risoluzione. Si trattava di un collega a tratti geniale che lasciava poche tracce in giro. La prima inchiesta interna aperta dall’MI5 non portò a risultati apprezzabili. C’erano molti indizi che inducevano a pensare che Philby fosse una carogna ma nessuna prova concreta.
Il tutto si concluse con un nulla di fatto e addirittura il ministro del foreign office presentò le risultanze dell’indagine in parlamento non senza difficoltà. Lo difese a spada tratta mentre i parlamentari urlavano a gran voce la loro incredulità.
Come ringraziamento Philby alla fine fuggì in unione sovietica.
Nella sua autobiografia notò che Skardon, nel corso di uno dei colloqui tenuti a casa sua nel tentativo di spingerlo alla confessione, commise un errore a suo parere imperdonabile per uno del suo calibro specializzato in interrogatori difficili. Gli chiese una autorizzazione scritta per ottenere il suo stato patrimoniale quando invece avrebbe potuto procurarselo in maniera anche legale.
Philby gliela concesse.
Mi indusse praticamente a mentire, riflettè l’affascinante agente segreto, perché permesso scritto alla mano Skardon iniziò a fargli delle domande supplementari che diedero a Philby la possibilità di fornirgli dettagli falsi e fuorvianti. Se si fosse limitato ad acquisire il suo resoconto bancario senza nemmeno notificarglielo e ad analizzarlo in maniera rigorosa, avrebbe magari ottenuto un quadro più veritiero.
Lasciando la parola a Philby con tutta probabilità entrò in confusione.
Chiacchiera contro chiacchiera, alla fine vince il più furbo.

Con Edith Tudor Hart, ritenuta la prima reclutatrice di Philby alla causa sovietica, non c’erano chiacchiere che potessero funzionare.
La fotografa di origini austriache e inglese per matrimonio era molto attiva nei circoli dei dissidenti di un certo tipo.
Era abituata ad essere braccata ed interrogata. Con Skardon e il suo collega che fecero irruzione in casa mentre lei era a letto a riposare e lì rimase per tutta la durata dell’interrogatorio, ebbe quasi gioco facile.

Usò la loro stessa tattica. Girava e rigirava attorno alle questioni in maniera vaga.
Ai due agenti non rimase altro che tenerla sempre sotto controllo e sperare in una giornata più propizia.

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