Per intenderci: le reti di intelligence che operano all'estero (quelle che si sono rivelate spesso determinanti per la liberazione dei nostri ostaggi) non sono state messe in piedi direttamente dai nostri agenti in Libia o Pakistan o nei territori di interesse, ma sono state messe in piedi da informatori reclutati in Italia e che avessero agibilità nei vari paesi: o perché erano originari di quelle zone, o perché erano residente o andavano in quei luoghi per motivi di affari.
globalist
Ovvero delinquenti e doppiogiochisti che tornano utili in determinati scenari.
Le lamentele sul budget per gli informatori sono un classico dell'Aise rispolverato a seconda delle necessità.
In piena bufera giudiziaria abu omar Mancini e i suoi recriminavano a mezzo stampa (indirettamente ovviamente) su tagli fatti presumibilmente come punizione dal governo.
Oggi il casus belli sembrerebbe essere Manenti.
Se le informazioni di cui disponiamo sono accurate, il direttore proverrebbe da un doppio binario operativo-amministrativo che dovrebbe avergli fornito i mezzi giusti per bilanciare le esigenze dell'agenzia con quelle del referente politico.
Quindi eventuali tagli saranno anche necessari.
A questo punto viene da chiedersi :
ma non è che qualcuno fa la cresta su certe cifre?
Si è detto che in passato per l'Iraq servivano tre milioni di euro annui solo per gli informatori.
Poi bisogna confrontarsi con la realtà che conosciamo.
In libia un "mediatore d'affari" italiano era libero di muoversi e sarebbe stato rapito. Questo almeno ha detto lui.
In Pakistan che è un'area delicata dove i servizi locali vanno a braccetto con i talebani, non riusciamo a tirare fuori Giovanni mentre i tedeschi recuperano il loro ostaggio con una operazione alla Rambo. Questo almeno dicono loro.
C'è qualcosa che non torna.
Nessun commento:
Posta un commento