martedì 3 marzo 2015

Le inquietudini del tortellino imbavagliato .

Le due linee sarebbero quella del poliziotto Calipari e del carabiniere Marco Mancini: il primo a favore della trattativa invisa agli americani; il secondo favorevole al blitz.«Il libro tradisce una scarsissima conoscenza dei fatti. Entrambi erano titolati a occuparsi di quel dossier essendo Mancini direttore della divisione che si occupa di controterrorismo, controspionaggio e criminalità organizzata transnazionale; e Calipari direttore della Ricerca».

Il libro racconta che, appresa la notizia della morte, lei impedì ai «calipariani» di andare a Bagdad e mandò soltanto Mancini.«I “calipariani” non sono mai esistiti. Calipari e Mancini erano amici, io stesso ho cenato con loro a casa di Mancini e so che i due si vedevano spesso in un ristorante siciliano della Capitale. Probabilmente erano competitor professionali. Dopo l'incidente gli americani negavano l'accesso a chiunque. Mancini riuscì a superare le resistenze, entrò nell'ospedale militare e fotografò di nascosto il cadavere del collega».

La vedova racconta che Calipari le avrebbe riferito una sua confidenza: «Mancini me lo ha imposto la politica». «Mancini era al Sismi dal 1984 ed era una risorsa importante nello scacchiere mediorientale. Io sono arrivato alla fine del 2001. Al Sismi invece ho portato Calipari che me ne ha fatto calorosa richiesta dichiarandosi insoddisfatto della propria posizione nella polizia. L'ho inquadrato come vicedirettore di divisione e l'ho poi promosso direttore».

Per bocca della moglie, si apprende che nel caso Abu Omar il marito temeva che uomini della sua divisione non si fossero limitati a pedinamenti e rapporti sull'imam egiziano. È la vicenda per la quale lei è stato assolto dopo dieci anni. «Ribadisco che io e il Sismi da me diretto, e quindi tutti gli imputati, siamo estranei alla vicenda. Se la notizia è vera, siamo in presenza di una notizia di reato da riferire all'autorità giudiziaria».
il giornale

"Probabilmente" è fantastico.
Di pollariana fattura.

Continua l'abile riabilitazione mediatica di Marco Mancini.
L'intervista all'ex capo che sa di poter contare su giornali da sempre fedeli interlocutori suoi e del suo servizio, è un assist ben congegnato.
Con molta probabilità al funzionario dell'Aise viene impedito dai vertici delle agenzie e dal dipartimento e forse anche dal referente politico, di rilasciare qualsiasi tipo di dichiarazione o intervista specie se legate alle ben note vicende.
Si tratta di un bavaglio tanto ingiusto quanto inopportuno.
Di certo la luce dei "nuovi" servizi non verrebbe oscurata se fosse concesso ad uno dei suoi uomini più fedeli e preziosi di dare almeno conto delle proprie ragioni.

Delizioso il pizzino sulle rendition.
Il generale non è comunque persona da lasciarsi intimidire tanto facilmente e ha infatti rimandato l'insinuazione al mittente.
Circa la questione delle responsabilità reali se ne parla ormai da quando è uscita la relazione Feinstein per la quale sono in molti ad auspicare che venga pubblicata la versione completa.
L'Italia al momento non ha granchè da temere poichè ha già pagato in un certo senso offrendo come obolo sacrificale l'inchiesta giudiziaria sulla vicenda Abu Omar.
Ma qualche politico in cerca di visibilità unitamente ad organizzazioni che di solito scendono in campo sotto il vessillo della difesa dei diritti umani, potrebbe riaprire il discorso.
Ci si chiede se anche da noi possano esserci stati siti prestati alle torture e funzionari che hanno dato materialmente il proprio supporto o abbiano almeno assistito come pare essere accaduto sul versante inglese.

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