martedì 2 dicembre 2014

Ritorno all'antico

Tanti anni fa giunse al'improvviso la pubblicazione di un decreto reale che stabiliva un cambio della guardia per il capo dei servizi di sicurezza interna.
Ali bin Majid al Maamari era l'uomo più potente e temuto del Sultanato dell'Oman.
Al solo sentirne pronunciare il nome anche noi stranieri cosiddetti di serie A perchè occidentali, tremavamo come foglie.
Uomo potente ma anche fidato, era al fianco di sua maestà sin dalla ascesa al trono.
Non fu punito o isolato ma promosso al rango di ministro.
Era cominciata comunque la sua discesa, infatti nel 2011 ovvero in pieno clima di proteste fu messo definitivamente da parte.
I manifestanti chiedevano la sua testa.
Non che il Sultano volesse accontentarli, Qaboos non è tipo da piegarsi alle isterie del momento, ma si rese conto di quanto la sua gestione fosse ormai poco adeguata.
Nel 2008 invece correva voce che gli avesse nascosto qualcosa, forse una parte dell'intelligence giornaliera e mensile che Ali Majid presentava quotidianamente al sovrano.
Nulla che potesse far tremare sua maestà o indurlo a credere che avesse potuto tradirlo nè diede retta alle chiacchiere che provenivano dagli Emirati e che qualche anno dopo davano il generale alla testa di un complotto, ma era necessario togliergli le chiavi della sicurezza nazionale.

In un Paese come l’Oman lo stretto legame esercito-polizia-governo è necessario per far fronte alle mille intemperie che possono travolgerlo : la presenza di un’estesa filiera di manodopera straniera proveniente da vari continenti, il fanatismo religioso, i rigurgiti rivoluzionari istigati da spinte esterne occidentali e medio-orientali, i delicati equilibri tribali, le piccole e grandi rivalità all’interno della famiglia reale.
Sono tutte criticità che devono essere tenute sotto controllo e con fermezza.
Quando si è in presenza di un sovrano illuminato come il Sultano Qaboos bin Said e il sistema non è corrotto, il potere giudiziario è indipendente, c’è una relativa flessibilità nella libertà d’espressione e la società civile è incoraggiata ad agire, allora l’operato dell’intelligence racchiuso in una morsa istituzionale viene percepito dalla popolazione come una semplice rete di protezione nella quale rifugiarsi.
E così può agire in maniera ottimale.

Il premier tunisino Mehdi Jomaa e il ministro della difesa Ghazi Jeribi hanno annunciato la formazione di un nuovo apparato di intelligence che opererà sotto il diretto controllo del ministero della difesa.
Si è parlato della necessità di avere un indotto maggiore di informazioni e di migliorare il livello dell'analisi e delle valutazioni finali.
La cosa non può prescindere ovviamente da un incremento della condivisione di notizie e da un maggior coordinamento.
Sembra di capire che si voglia tornare a schemi vecchi con una mentalità nuova ovvero senza far si che l'amalgama sopprima le libertà individuali.
In un momento in cui l'allarme terrorismo è alto soprattutto alle frontiere e il pericolo di infiltrazioni all'interno di una realtà politica relativamente nuova assume contorni pericolosi, questa iniziativa potrebbe rivelarsi vincente.
Speriamo che gli occidentali non ci ficchino il naso più di tanto.
Abbiamo già fatto abbastanza disastri.

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