lunedì 8 dicembre 2014

Fateci leggere il rapporto Feinstein. Fateci capire.

Sarebbe ormai stata redatta la versione finale del rapporto Feinstein sul programma di torture messo in atto dalla Cia nei confronti di presunti appartenenti ad al Qaeda, che avrebbe dovuto facilitare l'acquisizione di informazioni e le indagini su attentati e trame destabilizzanti.
Si tratta di uno studio dettagliato su venti casi dal quale sono stati omessi nominativi e circostanze che potrebbero mettere in pericolo la vita di agenti segreti e funzionari americani e stranieri.


Solo una piccola parte verrà resa pubblica.
Se ciò non verrà fatto entro la fine del mese (la senatrice a capo della commissione si era detta pronta già da questa settimana) la palla passerà nelle mani del successore Burr, un repubblicano che con tutta probabilità bloccherà l'uscita della relazione.
Dopo il tentativo fatto dal segretario di stato per ritardare o bloccare la pubblicazione, ci sono stati interventi pubblici di esponenti politici e funzionari della sicurezza nazionale che hanno spiegato come quel resoconto rappresenti più un pericolo per la comunità internazionale che un mezzo per fare chiarezza.
A loro parere la cruda esposizione di certi dettagli scatenerà violenze di massa in medio oriente e metterà a repentaglio la vita degli ostaggi nelle mani dei gruppi terroristici sparsi attorno al mondo,


A distanza di dieci anni dal sequestro di Abu Omar e dalle parole di un Mancini emotivamente provato dalla detenzione, dovremo forse fare considerazioni che vadano al di là della semplice questione di sicurezza nazionale.
Il programma delle rendition è parte integrante della politica estera americana, politica alla quale hanno aderito i suoi alleati.
Quanto successo hanno avuto queste strategie ?
Hanno forse pacificato il medio-oriente, risolto la guerra israelo-palestinese, assicurato la democrazia nei Paesi del Maghreb ?
Sono riuscite a ristabilire dialogo ed equilibrio con attori scomodi come l'Iran, la Turchia e la Siria ?
La risposta appare ovvia.
Al di là delle reazioni di pancia, quel rapporto deve indurci a riflettere.
Marco Mancini per primo, più che recriminare sulle proprie disgrazie, potrebbe avviare una riflessione sui meccanismi che regolano il proprio lavoro.
Meccanismi che hanno permesso a qualcuno di scaricare le proprie responsabilità su di lui che forse più di tutti ha pagato un prezzo alto.
Come nazione che ha contribuito in maniera rilevante a quel programma dovremmo chiederci in che direzione vogliamo andare.
Se essere quelli che fanno crepare in carcere Provenzano così come lui faceva con le proprie vittime oppure sforzarci affinchè i principi e i valori sui quali si fonda la nostra civiltà non vengano sacrificati alle esigenze del momento ma costituiscano un ponte per l'umanità intera.

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