sabato 31 maggio 2014
Desec
La documentazione parzialmente desecretata relativa al caso Alpi-Hrovatin e disponibile al pubblico anche in versione digitale presso l'archivio storico della camera dei deputati contiene materiale corposo circa il controllo sull’attività della comunità islamica in Italia tra la fine degli anni novanta e i primi del duemila.
E’ particolarmente interessante passare al setaccio le informative del sisde per comprendere come si muove l’intelligence e soprattutto come ragiona.
Tenendo a mente che il periodo preso in esame è quello in cui si registra la sviluppo delle comunità che sono costituite non solo da cittadini stranieri ma ormai da prominenti convertiti Italiani, è peculiare la differenza di impostazione ad esempio tra le conclusioni del prefetto Stelo che punta la sua attenzione principalmente sull’influenza saudita, e quella del generale Mori che analizza in maniera certosina i rapporti anche economici, all’interno delle moschee e dei centri culturali e gli equilibri che ne derivano tra le varie anime della comunità.
Spesso nelle informative viene usato un lessico che sarebbe più adatto a descrivere le attività di associazioni studentesche di un certo stampo, a dimostrazione del fatto che forse i vari capicentro e direttori di agenzia, a ridosso dell’undici settembre, si trovarono a fronteggiare un fenomeno che non conoscevano e cercarono di inquadrare usando metodologie e linguaggio a loro familiari.
Sia che si parli di attività sospette o di semplici pubblicazioni da diffondere, ricorre il termine “propaganda” o “proselitismo” che non rendono proprio l’idea su quello che è in realta l’attività di dawa, ovvero di informazione presso il pubblico musulmano e non, dei principi cardine della religione.
O per lo meno ne danno un'accezione negativa che deriva loro forse dall'impostazione dei colleghi americani.
Per chi non conosce ad esempio la storia dell'ambasciatore Scialoja e le dinamiche all'interno del mondo musulmano, definirlo "filo saudita" è un pò riduttivo oltre che controproducente.
L’attività di monitoraggio del centro sisde di napoli pare essere molto serrata e non dà l’impressione che vi siano stati almeno in quegli anni, movimenti particolarmente strani.
Il che getta più di un’ombra di dubbio sulle presunte dichiarazioni del pentito Vargas circa legami della camorra napoletana con esponenti del terrorismo internazionale.
Nell’era dei social media fa un po’ sorridere il modo in cui si tenevano sotto controllo centri nevralgici e personaggi importanti, anche attraverso articoli di giornali o seminari.
E soprattutto con l’uso di informatori che presumibilmente erano occasionali.
Nel 1999 ad esempio risulta un’informazione sulle conclusioni alle quali esponenti di una comunità erano giunti e che avrebbero dovute essere sviluppate in una successiva riunione, sulla quale però non si hanno notizie probabilmente perché non si trovò nessuno disponibile a riferire.
Ricorre spesso anche la dicitura “organi di polizia non al corrente”, sia per questioni minimali come il progetto di una nuova moschea, che per faccende più importanti per le quali ci si aspetterebbe che la polizia fosse informata.
C’è evidentemente un limite prestabilito tra le attività della polizia ordinaria e quelle dei servizi, oppure all’epoca la polizia sottovalutava certi scenari.
Sovente ci si affida completamente all’informatore per quel che riguarda dati su esponenti anche noti.
Ad esempio in riferimento ad uno dei leader stranieri delle comunità, se ne parla come di soggetto sul quale penderebbe una condanna a morte in Siria.
E di un professore universitario che tra l’altro collaborava anche con un nostro ministero, come di un esponente di una colonna siriana sciita.
I servizi riversano queste informazioni dando l’impressione di non averle verificate in maniera approfondita ma facendo affidamento sull'informatore.
E di fatti di volta in volta caratterizzano l’insider specificando se egli sia più o meno affidabile.
In generale rassicura come sia le analisi che le conclusioni vengano svolte in maniera rigorosa e senza pregiudizi.
Si spera che lo stesso accada quando il tutto arriva sui tavoli degli organi preposti.
Visto che è di moda in questi giorni parlare di privacy e di diritto all'oblio, mi chiedo se non sarebbe stato possibile oscurare nomi e dettagli sensibili di cittadini italiani e non, che erano sotto scrutinio visto che si muovevano in quegli ambienti ma che poi alla fine non hanno dato motivo di preoccupazione.
Ci sono tra loro persone note perchè impegnate in prima linea nel dialogo tra le religioni e con le istituzioni, ma anche soggetti il cui nome non dice granchè al pubblico.
Sebbene siano passati molti anni, vi sono dati che sarebbe opportuno non rendere noti.
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