La mia prima esperienza con la mano appesa fu in Oman in un InterContinental.
Mi presentarono un funzionario del ministero del commercio .
Era seduto ad un tavolo.
Aveva una certa età. Nemmeno mi guardò negli occhi.
All' epoca non conoscevo regole e tradizioni.
Me le spiegarono amici comuni. Per lo più giornalisti ed intellettuali.
Cioè gente meno legata alle tradizioni religiose e culturali.
Ci rimasi male perché bruscamente girò la testa dall' altra parte.
Annuì per lasciare intendere che aveva compreso chi ero.
Probabilmente era imbarazzato perché non parlava inglese.
A Londra invece rimasi stupita perché un ragazzo di seconda generazione, figlio di un algerino, parlava con me senza guardarmi negli occhi.
Pensai che forse c' era qualcosa di sbagliato in me. Eravamo in una moschea.
Quando si analizza tutto quello che dice e fa il nuovo capo della Siria bisogna tenere conto del fatto che si tratta di un uomo giovane che ha combattuto guerre diverse vivendo anche nel buio delle caverne. Spostandosi di continuo di notte con il pensiero alla sopravvivenza sua e della famiglia.
Sta affrontando un contesto nuovo. E lo fa in maniera dinamica.
Non ha respinto la mano della ministra. Ha risposto con il gesto del COVID.
Con il sorriso ha portato la mano sul petto.
Da un jihadista, anche attento alla comunicazione e all' immagine, non mi sarei aspettata tanta raffinatezza.
Il destino dei Siriani, uomini e donne, non dipende da Al Sharaa o Al Joulani.
Ma dalla consapevolezza maturata dalla popolazione in decenni di oppressione.
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