Il suo non voler essere personaggio in pubblico alla fine gli evita gogne mediatiche scomode per se stesso e per il governo così come accadde in una vicenda analoga per il predecessore.
Caravelli rispetto a Manenti si è costruito una migliore sponda stampa.
Nel 2016 l'uscita dell'articolo su Assafir, giornale perito subito dopo il fattaccio, fu presumibilmente orchestrata dal regime. A distanza di quasi dieci anni non è giunta notizia nel bel Paese del resoconto dettagliato del viaggio romano di Ali Mamlouk fatto dal generale Abbas Ibrahim.
Al tempo stesso la postura privata di Caravelli dà presumibilmente fastidio.
Difficile pensare ad una regia nel caso in esame vista la velocità con la quale gli eventi si stanno svolgendo. Ci potrebbe essere stata una manina che ha cercato di montare la rivolta social.
I turchi sono molto attenti a certe dinamiche. Anche ai qatarini i viaggi del direttore, a Damasco come in Africa, non devono essere graditi.
E poi in Italia qualcuno non si fida di lui.
Se ieri fossero state tirate fuori le immagini degli abbracci con Haftar, l'onda social sarebbe cresciuta.
Non essendo noto come i suoi colleghi dell'area, se l'è cavata con qualche epiteto teso a sottolineare il suo servizio sotto un governo di destra.
In Italia il governo è rimasto come usanza in silenzio. Tanto più che non bisognava oscurare l'evento del partito di maggioranza.
Stampa e giornalisti di peso hanno ignorato la vicenda. Nel tardo pomeriggio un distratto Dagospia ne ha dato conto.
I media impegnati a costruire ponti tra intelligence e servizi hanno fornito una spiegazione tecnica che ha sollevato da responsabilità lui e governo.
Insomma questa volta non dovrebbe esserci necessità di farlo cavaliere o sindaco.
Peggio è andata al povero Tony Effe. Nonostante la difesa di Dago con tutta probabilità non lo vedremo l'ultimo dell'anno noi che il capodanno ce lo passiamo a casa.
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