giovedì 19 ottobre 2017

Die and let live. Quei trentamila che non torneranno.

Abdelghani al-Assadi, a top commander in the Counter-Terrorism Service, said the Iraqis had an understanding with France that they would mop up the jihadists to prevent them from returning home. "We will prevent as much as possible any French person leaving Mosul alive," he was quoted as saying. "Our aim is to kill them so that no one from Daesh can flee."
thelocal.fr

«Infatti, non è solo un problema di sicurezza. C’è da mettere in campo un grande progetto di deradicalizzazione. Questi giovani hanno combattuto, ma molti si sono anche fatti una famiglia, ci sono dei minori coinvolti, i loro figli. A Ischia parleremo di questo e l’Italia, grazie al patto con l’Islam che abbiamo siglato mesi fa, può dire la sua. La deradicalizzazione è più facile se puoi contare su un’alleanza tra le istituzioni e le associazioni che rappresentano la maggioranza dell’Islam italiano». lastampa

L'imponente struttura mediatica costruita da Hayat Tahrir al Sham attorno all'operazione di Hama, nel corso della quale sono state sterminate decine di appartenenti a Daesh, è la diretta conseguenza di un patto simile a quello stipulato dalla Francia in Iraq. Si tratta evidentemente di un accordo stretto con vari Paesi europei assieme anche agli americani. L'Italia non può esserne rimasta fuori.
Le battaglie delle ultime settimane hanno mostrato armamenti nuovi e sofisticati messi in mano a giovani ben addestrati. Non deve essere stata la solita Malhama Tactical a curare i dettagli delle operazioni. C'è chiaramente l'impronta di eserciti occidentali e altri contractors stranieri.
Hayat Tahrir ci guadagna, oltre che in credibilità, in fondi e mezzi. Senza contare il reclutamento. Molti giovani si uniranno alla lotta armata contro il regime.
Nell'ottica della tanto auspicata fuoriuscita di Assad, non ha più senso fare pellegrinaggi a Damasco e fornire così un'ulteriore arma per prolungare l'agonia. Tanto più che, sia i russi sia le milizie siriane, stanno usando le residue tasche di resistenza di Daesh in maniera da ridisegnare le mappe per rafforzare la posizione del regime ai tavoli di negoziato.
L'elemento sul quale poggia l'accordo tra jihadisti e governi occidentali, pur avendo radici e basi legali diverse (shariatiche per gli uni e in dipendenza del perimetro giuridico consentito dalle singole normative dei Paesi occidentali rispetto a condizioni di emergenza) nasce da una considerazione di tipo pratico.
Non c'è soluzione efficace e indolore alla permanenza di Daesh in Siria ed Iraq.
E il ritorno dei foreign fighters su suolo occidentale sottoporrebbe gli apparati di sicurezza a pressioni tali da non potere essere sopportate. Il CVE è una gran bella idea, ma l'implementazione e un successo concreto richiedono almeno dieci anni di tempo nella migliore delle ipotesi.
In Iraq c'è bisogno di stabilità. In Siria occorre avere un fronte militare più snello e compatto.
La "riconversione" dei khawarij è un obiettivo di difficile realizzazione per HTS.
Almeno nell'immediato.
I trentamila millantati da ministri e capi di antiterrorismo sono molti meno.
E gli scenari di guerra sono infiniti.
L'altra notte è arrivato un appello in video di un gruppo di Daesh in Congo. Qualcuno risponderà.
Ma, in maniera cinica ed egoista, l'unica soluzione al momento è ridurre il rischio con mezzi militari. L'uccisione dei militanti di Daesh è l'unica via percorribile.

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