giovedì 1 dicembre 2016

Il piano divino

Diceva il generale Manenti ( Intervento 1.24.45 circa ) che il pericolo terrorismo in Libia non è tanto legato alla presenza di Daesh, caratterizzato da un’elevata componente straniera, quanto a frizioni interne e quindi al pericolo di guerra civile.

In Siria la situazione è diversa. I foreign fighters non costituiscono la maggioranza dei combattenti, ma se inizialmente si parlava di popolazione a rischio radicalizzazione a causa anche della loro presenza, adesso è solo questione di fazioni più o meno radicali. Il famigerato Jund al Aqsa, gruppo fondato e finanziato da un iracheno di origini palestinesi trapiantato in Qatar, il cui recente riassorbimento da parte di Jabhat Fath al Sham sarebbe prova per il dipartimento di stato americano, del fatto che al Qaeda in Siria sta solo tentando di ripresentarsi con un nuovo nome, è una delle tante formazioni ben inserite nel tessuto locale e non necessariamente con la forza. A questo punto l’unica via da tentare è quella di scegliere il gruppo più amalgamato e predisposto al dialogo.

Secondo il generale Parente presto al Qaeda potrebbe riprendere la guida delle insorgenze islamiste a discapito di Daesh. In realtà questo è già accaduto da diverso tempo. E’ difficile comprendere però a fondo i nuovi assetti secondo la zona. Per quanto riguarda la Siria, rimanendo così le cose, Assad ormai quasi padrone della situazione grazie alle milizie mercenarie sciite e all’uso di armi non convenzionali, tornerà ad avere una specie di controllo sul Paese usando la mano pesante ancor più che in passato. Questo inasprirà gli animi consentendo la rigenerazione di al Qaeda in maniera più aggressiva. Al Julani poteva essere l’uomo della svolta e può ancora esserlo, grazie all’abilità che ha, di comprendere le esigenze locali. Se sono vere le voci di scissione o addirittura di un tentativo di omicidio ai danni del comandante di Jabhat Fath ordinato da Al Zawahiri, allora al Qaeda è già all’orizzonte più forte e insidiosa di prima.

Non è una coincidenza che, proprio in questi giorni, sia stato pubblicato un brano estratto da un libro scritto da Sheikh Abdulraheem Atoun o Abu Mohammed Atoun, meglio noto con il nome di battaglia di Abu Abdullah al Shami, nel quale vengono ripercorse la genesi e l’evoluzione di al Nusra Front. Sheikh Atoun, apparso con il volto scoperto in un paio di interventi in video nella prima metà dell’anno, è la persona che compariva alla sinistra di Sheikh Al Julani nel corso dell’annuncio della scissione da al Qaeda. Di lui si sa poco o nulla, se non che è originario di Idlib ed ha un fratello come lui tra i membri fondatori di Nusra. All’epoca faceva parte della Shura, un consiglio decisionale, mentre oggi è a capo del tribunale di Jabhat Fath. Ha assunto un nome de guerre molto comune tra i ranghi qaedisti. Tenendo in conto che al Julani sceglie di solito tra i suoi più stretti collaboratori alcuni dei più valorosi e affidabili veterani di guerra, andando a scavare nella storia di al Qaeda, spunta alla fine degli anni novanta, un emissario di Bin Laden inviato dalla Giordania e chiamato appunto Abu Abdallah al Shami, che si recò in Kurdistan per arruolare un paio di gruppi che non si erano ancora sottomessi ad al Qaeda. Fondato Jund ul Islam, ad al Shami interessava tirare dentro alle trattative anche il mullah Krekar, che riuscì a convincere non senza fatica in un paio d’anni. Fu così che nacque Ansar ul Islam.
Qualunque sia il passato di Abdelraheem Atoun, di certo è uomo di peso all’interno della formazione di al Joulani. E’ sua la deliberazione secondo la quale non possono essere accettati aiuti finanziari dietro condizioni, il che rende difficile la vita e le relazioni di Jabhat Fath.
Interessante è l’interpretazione del coinvolgimento degli islamisti nella rivoluzione popolare del 2011. Il divine plot è il disegno divino per il quale Assad aprì le carceri per esagerare la confusione e creare il casus belli favorevole a se stesso, e che invece affidò ai fuoriusciti il compito di liberare gli oppressi. Sheikh al Atoun non ricorda, o forse omette, che gli uomini della sicurezza interna andarono ben oltre il semplice rilascio di soggetti pericolosi. Fornirono loro le armi e ordirono assieme ad alcune cellule di al Qaeda, attentati spettacolari e sanguinari. Tra i tanti, si ricorda quello del 2012 proprio all’interno della sede dei servizi segreti. All’epoca Al Julani si stava insediando in Siria assieme al manipolo di uomini portato dall’Iraq, ma nessuno ancora sapeva che si trattava di una formazione qaedista. Di qui l’ironia della designazione americana, prima ancora che gli stessi affiliati fossero al corrente della loro appartenenza. I primi reclutati ricordano che loro sapevano solo che facevano parte di Nusra e che come premio prendevano quattrini a palate provenienti dai Paesi del Golfo. Sheikh al Julani, che da esperto di guerriglia ha sempre amato l’anonimato, se ne andava in giro fingendosi emissario di se stesso. Voleva prima conquistare la fiducia della popolazione e scegliersi gli uomini migliori senza spaventare tutti con il marchio di al Qaeda. Come raccontato da al Shami, l’idea di trasferirsi in Siria con la consapevolezza che la situazione era differente da quella irachena, fu tutta di Abu Muhammad. Al Baghdadi non riusciva a cogliere l’importanza dell’opportunità offerta dalla rivoluzione. Così gli affidò un po’ di uomini e pochi soldi mentre lui riteneva centrale il solo progetto iracheno.
E’ entrato nella leggenda lo scontro tra Sheikh Atoun e al Adnani. Per lungo tempo al Adnani rispose attraverso scritti e messaggi audio alle accuse di khawarji (devianza) mosse dai vertici di al Nusra. Le schermaglie tra lui e Atoun, testi giuridici alla mano, continuarono nel corso di un’infuocata sessione su Skype, nella quale dovevano stabilire in quali battaglie  combattere assieme. Volarono parole grosse. In generale il rapporto tra Isis e la Siria non è stato mai ideale. E' basato sulla repressione piuttosto che sul dialogo e sui servizi offerti alla popolazione come invece fa al Julani.
Sicuramente l’astio di JF nei confronti di americani e occidentali nella misura in cui sono responsabili, anche solo chiudendo un occhio sulla pulizia etnica che sta avvenendo in questi giorni, non è trascurabile. E non si tratta di una formazione addomesticabile nel ruolo di “vetted” allo stesso modo di Ahrar e FSA. Ma può fare da ago della bilancia e respingere il pericolo al Qaeda. Se gli arabi riuscissero a portarli a un tavolo di trattative assieme all’opposizione, al di là delle riunioni turche per decidere distribuzione di fondi e strategia militare, la situazione cambierebbe.
In Siria il vero problema è Assad.

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