mercoledì 30 novembre 2016

In a bottle

Significativi tra l’altro : il messaggio minatorio antioccidentale postato in rete a fine settembre dal leader di Jabhat al Nusra, Abu Mohammad al Julani Relazione al Parlamento 2014 

Il messaggio del 28 Settembre faceva seguito ad un altro molto infuocato realizzato da Abu Firas al Suri, storico portavoce di al Nusra che ha iniziato la sua avventura jihadista nella fratellanza musulmana siriana in opposizione alla dittatura di Hafiz al Assad, per poi spostarsi in Yemen e Afghanistan venendo a contatto con figure del calibro di Bin Laden e Abdullah Azzam.
I due discorsi sono da leggere nel contesto del primo duro bombardamento concluso dagli Stati Uniti nei confronti del famigerato gruppo del Khorasan ad Aleppo, ma anche nell’ottica di una formazione sopravvissuta al tentativo di riassorbimento da parte di al Baghdadi e che stava amalgamandosi molto bene nel clima della rivoluzione siriana. Al Julani è riuscito dove Isis ha fallito sin dal primo giorno. Si è inserito nello scenario locale, nel quale lui stesso è cresciuto, senza mai rivendicare la paternità dell’insurrezione, ma offrendo un’alleanza preziosa sia alle varie fazioni islamiste che alle tribù e alla popolazione civile. Più che di messaggio minatorio, la sua era espressione della jihad difensiva da sempre abbracciata da al Qaeda. Il tono e gli argomenti usati, oltre ad essere particolarmente duri, ricordano molto lo stile di Bin Laden. Così come al Zawahiri, che si era speso nella mediazione tra Isi e Nusra, al Julani temeva che al Baghdadi volesse tentare un colpo di mano su al Qaeda. Quindi oltre ad opporsi al riassorbimento, doveva fare valere le sue ragioni con forza.
E’ bene tenere in conto questo aspetto, perché per quanto concerne gli interessi della sicurezza nazionale in aree come quella siriana, bisogna mettere in chiaro con i nostri interlocutori, spesso in situazioni di hostage taking, che noi facciamo parte di una coalizione che colpisce tra gli altri anche al Nusra, ma non siamo impegnati direttamente sul campo. Quindi non ci si può includere tra gli europei da colpire e nemmeno ci si può ricattare. Il jihadista è sì uomo segnato da anni di guerra, torture e prigione, ma non è un camorrista. Ha la legge di Allah alla quale rispondere e le direttive emanate dal comandante al quale ha prestato giuramento. Non è cosa da poco conto per un musulmano. Per noi le regole e i patti da rispettare, soprattutto con i non musulmani, sono sacri.
C’è da stabilire però, se le regole prese come riferimento, sono adatte alla situazione specifica. Questo è il segreto per condurre una trattativa alla pari con un jihadista. Sennò si finisce sempre con l’aprire il solito borsone carico di quattrini, armi e prigionieri.

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