domenica 25 settembre 2016

A colpi di fatwa

Noureddin al Zengi, vecchia conoscenza dell’Aise e delle casse dello stato, ha da pochi giorni dichiarato la sua adesione a Jaysh al Fateh. Un importante tassello che va ad aggiungersi al fronte dei ribelli, attualmente costituito da una ventina di gruppi.
Prosegue a ritmo incessante la battaglia per Aleppo, ormai divenuta battaglia per la Siria, che continua a mietere vittime tra i civili. La guerra si combatte anche sul versante delle alleanze esterne. Abu Mohammad al Maqdisi, mentore di al Zarqawi e cavallo di troia del governo giordano quando c’è da orientare le fazioni islamiste e fare da mediatore in casi di rapimento, ha emesso una fatwa che vieta di affiancare i turchi, considerati apostati per la loro vicinanza agli Stati Uniti responsabili assieme alla Russia, di quello che ormai potremmo definire un genocidio a tutti gli effetti, anche se stanno combattendo contro Daesh. Maqdisi ha consigliato a quelli che di recente hanno lasciato Jabhat Fateh, di formare una compagine siriana su modello talebano.

Dopo aver pubblicato una lettera di ringraziamento nei confronti di tutti i gruppi siriani che si sono opposti all’alleanza Stati Uniti-Russia, Jabhat Fateh ha rivolto un appello ad Ahrar al Sham, pregandolo di riconsiderare la volontà di combattere assieme a Turchia e America nell’operazione Euphrates Shield. Il messaggio, sotto forma di fatwa, ribadisce che, pur essendo concesso quando ve ne è necessità, collaborare con i non musulmani, l’aperta ostilità manifestata dagli americani in questi frangenti, impone il distacco. Sia Ahrar al Sham che il Free Syrian Army hanno replicato che abbandonare quel fronte in un momento così delicato, metterebbe a repentaglio l’esito della guerra . Non hanno valutato a fondo il ragionamento complessivo di Sheikh al Julani il quale sa perfettamente che la Turchia, al di là delle necessità di reprimere le velleità curde, in seguito verrebbe ad avere troppa influenza sulla sfera siriana, soprattutto in vista della cosiddetta soluzione politica al conflitto. E a questo proposito c’è da registrare l’appello rivolto allo stesso al Julani, da parte del capo dell’opposizione siriana, che lo ha esortato a rescindere una volta per tutte ogni legame con al Qaeda e con le pratiche di un certo tipo, come rapimenti e omicidi settari, che hanno caratterizzato l’attività di al Nusra soprattutto agli inizi.
Si tratta di una svolta necessaria per Jabhat Fateh al Sham se vuole avere maggior supporto sul campo, ma soprattutto per non essere esclusa dai tavoli delle trattative. Svolta che sulla carta risulterebbe facile da realizzare per un uomo come al Julani, che possiede carisma e determinazione necessari per imporsi sull’ampia compagine guidata, ma che si deve scontrare sul terreno con la realtà di una guerra caratterizzata da risvolti complessi. Un accordo stretto adesso con l’opposizione, serve anche ad evitare nel futuro, situazioni difficili come quella creata da Haftar in Libia.

Consapevoli di questo tipo di difficoltà, gli americani sono orientati ad incrementare il loro supporto ai curdi che, pur essendo legati a gruppi terroristici come il PKK, non danno eccessivi problemi. Una delegazione di cui faceva parte il generale Votel, si è recata giorni fa dal presidente Barzani per ridiscutere i termini della loro collaborazione e il generale Dunford, in audizione al comitato di controllo sulle forze armate, ha ribadito la necessità di armare i curdi siriani. In realtà ci sarebbero stati già diversi passaggi di armi, anche pesanti, alle fazioni curde che così non farebbero mancare l’apporto necessario sul fronte Euphrates Shield. Bisogna vedere però, quali sono le richieste avanzate sempre nell’ambito di una eventuale soluzione politica. A questo punto comunque, a rimetterci le penne sarebbe Erdogan, che potrebbe essere abbandonato un po’ da tutti.
Se gli Stati Uniti decidono di rinunciare a quella che era una collaborazione travagliata ma pur sempre necessaria, devono valutare attentamente a priori le conseguenze di una mossa simile. In generale pare delinearsi il solito quadro che vede da un lato i regimi arabi, più pragmatici e consapevoli dei meccanismi che regolano i destini del medio-oriente, lavorare ad una soluzione di medio termine in grado almeno di scalfire il blocco sciita, mentre gli americani , dopo aver voluto a tutti i costi un'alleanza improbabile con i russi, insistono nel porre in atto soluzioni adatte più al gioco del monopoli che alla realtà così come è vissuta dalle popolazioni locali.


Nessun commento:

Posta un commento