martedì 23 febbraio 2016

Casa (dolce) casa

Invocati e richiamati a più riprese, nei dibattiti a Bruxelles, dal presidente del consiglio, Matteo Renzi, e dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Con i rimpatri volontari assistiti i migranti non arrivano in Italia perchè sono stati convinti a tornare indietro dopo essere giunti in una delle ultime tappe del loro viaggio: il Niger, in questo caso.All’atto pratico, il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione e il prefetto Mario Morcone hanno seguito il decollo dell’operazione in Niger con l’Oim. marco ludovico

I programmi di ritorno volontario assistito, finanziati in gran parte attraverso sovvenzioni europee ma anche con fondi del ministero dell'interno come nel caso del progetto in Niger, sono regolati in Italia dal decreto del 27 Ottobre 2011 che stabilisce innanzitutto quali soggetti possano beneficiarne e gli ambiti di applicazione degli schemi di rimpatrio.
Vengono coinvolti cittadini extracomunitari particolarmente bisognosi o destinatari di un provvedimento di espulsione che non siano gravati da pendenze penali e che abbiano dato il loro consenso al rimpatrio o ne abbiano fatto richiesta. E soprattutto per i quali non vi siano le condizioni per restare in Europa. Un modo di alleggerire le amministrazioni locali e le forze dell’ordine da compiti tanto gravosi quanto inutili ma anche di rendere più facile la vita al migrante. Ha fatto notizia qualche settimana fa, la richiesta da parte di un nutrito gruppo di profughi iracheni accolti in Finlandia, di ritirare la domanda di asilo politico per ritornare in patria con l’aiuto della propria ambasciata. Non sono riusciti ad adattarsi al clima rigido e sono rimasti spaventati dall’atmosfera carica di ostilità ed odio che il Paese ha riservato loro. Il programma si fa carico delle  esigenze materiali dei profughi in modo da curarne la partenza fino a seguirli per quanto possibile nelle prime fasi di reinserimento nel proprio Paese, fornendo loro assistenza sanitaria e finanziaria o anche un lavoro. Il grado di implementazione delle varie fasi dipende dalle situazioni e dagli accordi tra il governo e l’organizzazione che si fa carico di assistere i migranti.

L'iniziativa del governo italiano di realizzare un modello in parte modificato dei rimpatri assistiti che si sviluppi direttamente all'interno del continente africano risponde alle esigenze dettate dall'emergenza del momento. Esso può costituire, come sottolineato dai responsabili locali italiani, una maniera efficace di monitorare i flussi e prevederne anche le evoluzioni. Potrebbe altresì risultare utile a rilevare le criticità legate ai movimenti dei gruppi terroristici.
La buona volontà dei governi purtroppo deve fare i conti con le situazioni di estremo disagio in cui versano i Paesi interessati e spesso anche con le debolezze umane.
Uno dei punti critici del programma è la volontarietà.
Sia il decreto italiano che le norme redatte dagli altri Paesi europei e il vademecum elaborato dall'alto commissariato per i rifugiati, forniscono delle linee guida molto generali che lasciano piena libertà di scelta al migrante ma anche ampio spazio di manovra per gli operatori. Per lungo tempo vi sono state polemiche molto accese in Inghilterra da parte delle organizzazioni che si occupano dei diritti dei migranti secondo le quali spesso gli organismi ai quali il governo affida la gestione dell'intero processo forzano in malo modo l'orientamento verso il rimpatrio ponendolo come unica alternativa alla deportazione.
Nelle regioni di transito come il Niger sorgono numerose difficoltà legate ai flussi e alle strutture di accoglienza. Molte persone in fuga pur avendo accesso all'assistenza si rifiutano di soggiornare nei campi di accoglienza e rimangono ospiti di famiglie o tribù amiche, rendendo in questo modo difficile il lavoro di smistamento. Il tempo di permanenza può variare da poche settimane ad alcuni mesi. Spesso l'arrivo di un nuovo gruppo rende necessario lo spostamento di quelli per i quali non è ancora pronta la sistemazione nel luogo di ritorno che quindi vengono mandati in un altro campo.
Difficile anche è la gestione dell'assistenza sanitaria, dei beni di primo consumo e delle strutture di accoglienza. A volte le grandi organizzazioni come Usaid subappaltano l'amministrazione delle strutture a referenti locali che non sempre rispettano i termini dei contratti e gli stessi governi africani si approfittano della situazione. Spesso scarseggiano cibo ed acqua e le strutture di accoglienza sono fatiscenti. Non mancano i pericoli legati agli attacchi di milizie e gruppi terroristici. Ogni volta che l'esercito e la polizia riescono ad avere la meglio su Boko Haram, questi si vendicano mandando attentatori suicidi in punti nevralgici. I campi per rifugiati sono gli obiettivi preferiti.
Un'altra criticità molto importante è costituita dal rientro e dal reinserimento. Nei Paesi dell'America latina e del Maghreb questi sono relativamente facili da realizzare ma in Africa e medio-oriente la realtà è fatta di rientri in case con cadaveri sparsi dappertutto e campi incoltivabili.
Il reinserimento è reso ancora più difficile dalla condizione mentale dei migranti soggetti a depressione e malattie psichiatriche a causa dello stress affrontato.
Ciononostante il percorso avviato dal ministero dell'interno al momento è l'unico praticabile ed è sicuramente migliorabile.

Ringrazio il dottor Ludovico autore dell'articolo e il dottor Pisani direttore dell'ufficio immigrazione per alcuni chiarimenti fornitimi a proposito degli impegni assunti dal ministero dell'interno.

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