sabato 12 settembre 2015

Il creativo

Lei ha studiato scienze politiche, ma il suo master è in scrittura creativa. Le manca l’esperienza di una carriera diplomatica?
 «Prima di andare con Obama ho lavorato per cinque anni per il senatore Lee Hamilton. Con lui mi sono occupato molto di affari internazionali. E lì ho iniziato anche la mia carriera di “speechwriter”». Dalla fiction al potere Com’è arrivato alla politica?
Dopo l’università sembrava voler fare lo scrittore. Ha lasciato a metà un romanzo, «Oasis of love», su una donna che abbandona il suo «boyfriend» per entrare nella congregazione di una mega-chiesa di Houston. Lo finirà quando lascerà la Casa Bianca? «No, resterà nel cassetto. Non so cosa farò in futuro. Quella che sto facendo rimarrà un’esperienza unica. Non mi ci vedo a entrare e uscire da incarichi amministrativi. Voglio sicuramente essere un autore, ma non nel campo della fiction. Quanto all’impegno in politica, è una decisione che ho preso esattamente 14 anni fa, il giorno dell’attacco alle Torri gemelle. Ero sul lungomare di Brooklyn, alla manifestazione elettorale di un candidato locale, un consigliere comunale che stavo aiutando. Vidi, al di là della baia, il secondo aereo di Al Qaeda infilarsi nelle torri e poi il primo grattacielo sbriciolarsi e precipitare. Decisi allora di passare dai racconti di fantasia a qualcosa che incidesse sulla realtà politica».corriere

La prima cosa che viene da chiedersi leggendo la biografia di Rhodes è appunto come abbia fatto un ragazzone di buona famiglia dal curriculum nemmeno tanto eccezionale a diventare lo speech writer dell'uomo più potente del mondo.
E la risposta sta proprio nella sua creatività.
Che non gli è valsa il pulitzer perchè come scrittore non è nemmeno granchè ma un posto di primo piano nel team di Obama il che non è male.
La creatività di Rhodes si esprime nella sua capacità di plasmare la realtà. Lui dice e non dice.
A volte cambia quello che ha detto negando di averlo fatto nonostante l'evidenza. Fa arrivare ai giornali quello che gli altri avrebbero detto.
Dal pasticcio di Benghazi all'accordo sull'Iran nella camera ovale Benjamin il creativo ha trovato se stesso.
Ne sa qualcosa Mike Morrell che dovette mandare giù il boccone e lasciare che questo giovanotto che più che uno speech writer sembra essere il vero ispiratore della politica estera americana, modificasse delle note importanti che lui e gli altri colleghi avevano messo a punto come da prassi.
Salvo poi far ricadere tutta la responsabilità sulla Cia. Come al solito.

I riferimenti al dolore del presidente per il tragico epilogo in Pachistan piazzati su una paginona del giornale di Matteo all'indomani delle prime indiscrezioni circa l'inchiesta interna sulla morte di Lo Porto e Weinstein non fanno presagire niente di buono.
Se i due governi non hanno ancora negoziato una versione concordata, di certo l'esito finale non sarà comunque dei migliori per noi. Come al solito.

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