lunedì 27 luglio 2015

Mani nel fango

vantaggi ottenuti, sotto il profilo della sicurezza personale, grazie al rapporto diretto instaurato con il dottor Pisani, in considerazione del fatto che, per la prima volta, avevano avuto un punto di riferimento cui rivolgersi in caso di bisogno.

«dopo aver criticato le strategie investigative dei carabinieri, a loro dire basate esclusivamente sulle attività tecniche ed intercettive, esaltavano invece il cosiddetto metodo Pisani che, sebbene “si sporcava le mani”, aveva comunque l’abilità di instaurare un rapporto confidenziale con i suoi interlocutori».
corriere del mezzogiorno

Noi donne del sud nutriamo una passione sfrenata per queste figure maschili misteriose che si occupano a loro volta di risolvere misteri.
Io dedico giornate intere al generale Manenti.
Titti Beneduce qualche giorno fa ha tirato fuori un dossier sul dottor Pisani.

Nel corso del processo di primo grado per la vicenda del riciclaggio, poi risoltosi anche in appello con una assoluzione piena del funzionario di origini calabresi, siamo venuti a conoscenza di vari aspetti delle vicissitudini pubbliche e private di Vittorio Pisani e anche del suo carattere.
O meglio della percezione che si ha del personaggio.
Vezzi, manie, situazione finanziaria, amicizie, modalità di rapportarsi a interlocutori di varia provenienza.
Si tratta per lo più di materiale e testimonianze che poco o nulla avevano a che fare con i capi di accusa che gli venivano addebitati ma che permettevano di ricostruire un quadro abbastanza fedele forse, di quella che è di sicuro una personalità tanto insidiosa quanto affascinante.
Non ci davano la sensazione di quello che Pisani avrebbe fatto secondo l'accusa ma di quello che potenzialmente avrebbe potuto fare viste le circostanze e i mezzi a disposizione.
E che comunque la pubblica accusa era certa avesse fatto.
Insomma era un quadro perfetto in ottica predittiva. Più da analisi e valutazioni a livello di intelligence che di polizia giudiziaria.

Il rapporto con i confidenti e con il mondo criminale in generale è stato uno dei pezzi forti del dibattimento.
Lo scambio tratteggiato nella relazione del Ros (che a questo punto potrebbe anche essere resa pubblica. Perchè lasciarla sempre e solo ai giornalisti ?) tra Fontana e Piccolo ricorda un pò la testimonianza di Salvatore Lo Russo che parlando del proprio arresto nel 2007 si disse convinto che il dottor Pisani in virtù del rapporto di conoscenza e confidenza che intratteneva con lui non lo avrebbe mai catturato .
Ironia della sorte il Lo Russo non immaginava o forse lo sapeva ma voleva insinuare il germe del dubbio nella mente del suo interlocutore, che stava facendo quelle considerazioni davanti ad uno dei magistrati che aveva gestito la ripartizione operativa delle indagini e quindi non avrebbe mai potuto credere ad una versione del genere.

Questo è il modo di ragionare della mente di un soggetto abituato ad essere continuamente sotto la lente degli investigatori e della giustizia.
Ai suoi occhi un atteggiamento in apparenza flessibile o rilassato come quello che avrebbe tenuto ad esempio l'ispettore Perrotta, non solo viene incontro alle proprie necessità ma genera l'impressione che le necessità dell'investigatore coincidano con le proprie.
E quindi si ritiene quasi autorizzato a pensare che nel modus operandi dell'investigatore ci sia quasi un accordo più o meno tacito.
In realtà gli investigatori alla Pisani, come ben descriveva Enrico Nocera in uno dei tanti articoli che precedettero l'inizio del processo, amano camminare nel fango senza sporcarsi o almeno cercano.
Si tratta di una scelta operativa legittima che nell'equazione rischio beneficio pende a favore di quest'ultimo finchè l'investigatore riesce a mantenere il controllo della situazione.
Scelta operativa che gli permette non solo di captare il maggior numero di informazioni possibile grazie al rapporto di fiducia instaurato, ma che gli consegna anche la chiave d'accesso a tutto quel sottobosco criminale e non, che costituisce un ulteriore terreno di potenziali acquisizioni.

Il filo sottile sul quale si muove l'investigatore costituisce la barriera tra quelli che il criminale percepisce come vantaggi per se mentre lo sbirro li agita a mò di esca.

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