lunedì 16 febbraio 2015
Chiamò l'Egitto e ci ripensò
Con o senza bombe i problemi dell'Italia rispetto al Maghreb rimangono gli stessi :
sbarchi o attacchi diretti e tenuta in sicurezza degli impianti petroliferi.
La seconda questione non dovrebbe essere un problema almeno secondo quanto avrebbe detto il direttore dell'Aise al Copasir.
Fino a qualche giorno fa l'area in cui sono dislocati i nostri giacimenti non era sottoposta a particolari rischi.
Domani il capo della polizia riferirà in parlamento circa i pericoli provenienti dal mare.
Difficile che abbia grandi rivelazioni da fare.
Ci dobbiamo aspettare una massa di disperati anche con armi al seguito come già accaduto.
Che siano jihadisti o meno non ha molta importanza.
Quello di cui sicuramente al Sisi e il nostro primo ministro hanno discusso è la stabilità politica della Libia e quindi la possibilità di lavorare al dialogo tra la varie fazioni.
Evidentemente il presidente egiziano ripone buone speranze in tal senso.
Ciò che preoccupa inoltre è il livello di infiltrazione di Isil nelle maglie delle milizie libiche.
Un eventuale intervento aereo non vedrebbe coinvolta la Nato che non ne vuole sapere viste le altre emergenze (Yemen, Iraq-Siria, Ucraina) ma un gruppo ristretto di nazioni e tra queste sia l'Italia che l'Egitto.
Se il presidente egiziano ha frenato Renzi e gli altri interlocutori è sicuro di potercela fare da solo come sta accadendo in queste ore.
Un intervento militare allargato peggiorerebbe la situazione soprattutto in vista del dopoguerra.
Probabilmente le informazioni che gli provengono dal terreno e l'Egitto ha storicamente ottime antenne, gli dicono che la situazione è abbastanza gestibile.
A questo punto il problema è decidere quanta libertà di manovra si può lasciare ad al Sisi e a questo "nuovo" Egitto.
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