domenica 6 ottobre 2013

Pagine non scritte

La seconda parte della requisitoria dedicata al capitolo Pisani, è stata rigorosa e priva di quei personalismi e tensioni che hanno attraversato l’aula del dibattimento in questi due anni, su ogni fronte.
Indubbiamente le espressioni usate per descrivere il capo della squadra mobile, e i metodi di cui egli si sarebbe servito, per trarre vantaggi dall’esercizio delle proprie funzioni, sono state particolarmente dure, però hanno aiutato a comprendere meglio, il ragionamento seguito dalla procura, nel tratteggiare l’accusa e il quadro complessivo delle attività criminose.
E’ stata una requisitoria, in cui si è giocato molto con le parole, tagliando spesso e volentieri sui fatti portati dalla difesa Pisani.
Quei tanti non ci interessa pronunciati sapientemente dal dott. Amato, hanno dato man forte all’interpretazione degli elementi che aveva a disposizione.

Ha tenuto banco, come era già accaduto prima della pausa estiva, la questione riguardante Lello Serino.
E’ bene ricordare che in fase di testimonianza, fu l'imputato stesso ad insistere per citare questo ed altri nomi che, secondo il collaboratore di giustizia Lo Russo, gli sarebbero stato confidati, in palese violazione del segreto istruttorio, nel corso di un colloquio, avvenuto tra il Maggio e l'Agosto del 2007, periodo di scarcerazione ottenuta per insufficienza di indizi, riferirono i giornali dell'epoca.
Il Pisani, secondo Lo Russo, gliene parlò in relazione a delle intercettazioni che lo riguardavano, e che avrebbero potuto influire negativamente sulla sua posizione processuale.
Oltre al fatto che, come fece notare il poliziotto, se lui avesse voluto favorirlo, c’era ben altro da rivelargli, cioè l’indagine assegnata ai carabinieri, decisamente notizia più concreta di una investigazione ormai chiusa,  al momento della testimonianza in aula, nemmeno la rappresentante della DDA, gli contestò che quella era una inesattezza bella e buona, perché il nome Lello Serino non compare nella trascrizione delle intercettazioni, ma nel resto della documentazione.
E il magistrato, come ci ha ricordato in fase di requisitoria, ben conosceva quella inchiesta, perché ne segue il dibattimento.
Probabilmente come Pisani, nel preparare la sua esposizione, ha maldestramente dimenticato di riesaminare tutta la documentazione, o forse non l’aveva a disposizione, così alla dottoressa Parascandolo, quel nome nel corso della testimonianza dell’imputato, non ha detto granchè.
Per quanto, come notava in un’occasione il dott. Amato, la dottoressa Parascandolo è una sorta di Ced ambulante, in quanto provvista di ferrea memoria, nel suo ruolo ha un carico di lavoro eccezionale.
La misura della buona fede del Pisani, ci è data da quella della procura stessa.

Su come effettivamente poi Lo Russo sia venuto a conoscenza di quei nomi, non è possibile purtroppo rifarsi al segreto istruttorio o ai verbali secretati.
Dal dibattimento e dalle intercettazioni a latere, abbiamo capito come a Napoli, i segreti non siano di casa.

Questo episodio comunque, sarebbe secondo la pubblica accusa, sintomatico del fatto che Pisani ha basato la propria difesa, non tanto nel rispondere alle accuse che gli vengono mosse, quanto nel tentare di screditare, le figure di coloro i quali, con la loro testimonianza, hanno fatto si che le indagini prendessero corpo.
Quindi si parla di parte dei pentiti, Lo Russo e Misso, e del poliziotto Paparone.
Ora è vero che in apparenza, le evidenze portate dalla difesa Pisani, poco hanno a che fare con la sostanza delle imputazioni, però è anche vero, che a questi personaggi, è stata data ampia facoltà di parlare su svariate questioni accessorie.
E non si poteva fare altrimenti, perché per comprendere se l’accusa è sostanziata, bisogna fare riferimento all’ambiente e alle figure che la compongono.
Però bisogna anche cercare di capire se chi parla dalla sedia del testimone, dice cose vere, logiche, credibili.
Per sapere ciò, dobbiamo avere un quadro completo dello spessore della persona.
In caso questo dicesse inesattezze, dobbiamo anche capire il perché.
La difesa, che effettivamente ha spesso e volentieri, tirato fuori all’uopo queste relazioni come un coniglio dal cilindro, è stata quasi forzata ad agire in questa maniera.
Nel momento in cui Giuseppe Misso in corso di testimonianza, ha fatto tutta una serie di considerazioni sul perché lui e il suo clan venivano spesso arrestati, mentre Salvatore Lo Russo l'avrebbe scampata, ha lanciato un assist involontario, teso a corroborare le ipotesi dell’accusa, sul metodo di lavoro di Pisani.
Chiaramente la difesa doveva per forza far presente, che Misso sarebbe stato a suo tempo confidente dello stesso Pisani.
E’ importante, per cercare di comprendere se le sue dichiarazioni possano essere tenute in considerazione o meno, anche a proposito del presunto sodalizio tra Iorio e Potenza.
Lo stesso dicasi per Lo Russo.
Quando ipotizza di conoscere la ragione per la quale furono i carabinieri ad arrestarlo e non la squadra mobile, fa valutazioni che nel contesto di questo processo, servono a delineare quello che il dott.Amato ha definito come perimetro, e che sarebbe costituito dall’azione del poliziotto Calabrese.

Non v’è dubbio che, mettendo da parte convincimenti e simpatie personali, non vi puo’ essere un atteggiamento fideistico nei confronti di tutto quanto fatto e detto da Pisani nel corso degli anni, e soprattutto durante il processo.
Se le accuse si rivelassero fondate, l’ex capo della mobile non sarebbe semplicemente colpevole di aver fatto guadagnare una manciata di soldi in più agli Iorio e ai Potenza, ma avrebbe reso possibile tutta quella serie di reati sintomatici, caratteristici dell’attività camorristica: 
estorsioni, usura, traffico di droga, furti.
Se avessimo la certezza che Pisani è colpevole, dovremmo ritenerlo responsabile di centinaia di morti per droga, di donne che si prostituiscono, di famiglie sul lastrico, di gente che si suicida per la disperazione.
Non basterebbe una vita di carcere, altro che quattro anni, a rendere giustizia alle vittime.
Come disse il Questore di Milano a proposito di un’indagine su alcuni poliziotti corrotti, il poliziotto disonesto è colpevole due volte, perché ha tradito un giuramento.

Epperò non possiamo nemmeno dimenticare chi è Vittorio Pisani e cosa ha fatto in questi anni.
I risultati investigativi di cui hanno beneficiato nel lungo periodo, non solo il suo ufficio, ma anche gli altri organi di polizia giudiziaria, vanno valutati in quest’ottica.
Così quando si afferma che quelle relazioni non hanno consistenza, bisogna incrociarle con gli esiti delle indagini.
Si vedrà quindi, che tanto inconsistenti non sono.
Una per tutte:
il fermo di Maria Licciardi nel 1998, mentre si recava a consegnare i trecento milioni pattuiti con Sarno Costantino, vede riscontro nella nota redatta da Pisani, nel Gennaio dello stesso anno.
E’ una circostanza difficile da inventare o immaginare.
Ovviamente fa gioco a Salvatore Lo Russo negare le sue confidenze adesso che è pentito.
Così è funzionale alle tesi della procura, dire che in quelle relazioni c’è poco o nulla, o che Pisani non avrebbe riferito ai suoi uomini l’esatto contenuto dei suoi dialoghi con Lo Russo, nel corso dei loro incontri notturni.
Se non si riesce a provare che egli aveva dei complici all’interno della squadra mobile, bisogna per forza di cose pensare, che tenesse all’oscuro i suoi uomini per realizzare i suoi intenti criminali, e dirigere l’attenzione e le investigazioni a seconda delle proprie esigenze.
Se un’analisi accurata di quelle relazioni, credo che il Ris sia all’avanguardia in materia, ci può svelare quanto esse siano credibili, bisogna farlo al più presto.
Nel caso non lo fossero, si aprirebbero scenari ben più inquietanti.
Funzionari di rango, oggi purtroppo caduti in disgrazia a causa di sentenze rispettabili ma non necessariamente condivisibili, hanno confermato in aula la versione di Pisani.

E’ bene fare luce sull’intera faccenda, senza aspettare più di tanto.

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