Il capo della polizia Gianni De Gennaro chiama Rizzi che considera il migliore investigatore su piazza. Lo pesca a Venezia dove dirige la Squadra Mobile, gli dice: «Scegli chi vuoi, hai computer, auto, microspie, tutto. Ma li devi prendere». Corrias VF
Il punto di forza di Vittorio Rizzi è l'umiltà.
Riesce a introdursi e a scandagliare sia la mente della vittima che quella del carnefice.
Per fare questo deve mettersi sul loro stesso piano e rinchiudersi in una cortina di acciaio.
Infatti è l'unico tra i mostri sacri che ho (in)seguito in questi anni che non sono riuscita a profilare.
Dietro l'apparente pacatezza e cortesia si nasconde un uomo indecifrabile.
Con estrema sensibilità ed acume non lascia nulla al caso.
Questo gli ha permesso di risolvere tutti i rebus che i grandi capi gli hanno assegnato.
Più che il fantasma dello zio che per diversi anni lo ha perseguitato sui media, avrebbe dovuto dargli fastidio il ruolo di tappabuchi riservatogli in tempi in cui la sopravvivenza dei governi dipendeva largamente dalla sicurezza.
Anche il prefetto Manganelli faceva ricorso a lui quando l'impossibile era dietro l'angolo.
Al DIS diverse sfide lo aspettano.
Rimettere in piedi una struttura che non ha senso senza una riforma e l'assegnazione di ruoli precisi.
La polemica sull'obbligo di collaborazione è una delle tante incongruenze.
Fare un po' d'ordine sulla postura delle agenzie.
La medaglia di eroe dei due mondi assegnata al capo dell'AISE non può fare dimenticare le mosse poco chiare rilevate su fronti caldi di cui si è parlato negli ultimi mesi.
Le vulnerabilità cyber che permettono di colpire ministeri e amministrazioni.
Rizzi è anche l'uomo perfetto per accontentare le aspirazioni di trasparenza del sottosegretario.
Le aperture al pubblico attraverso il dialogo con i dipendenti è prassi consolidata in altri Paesi.
Purchè non ci siano scheletri nell'armadio pronti ad uscire.

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