Lei parlò di timore di rischio per la tenuta democratica del Paese…
Neppure per un attimo ho pensato a un colpo di Stato quando lo dissi, intendevo la rottura sentimentale del Paese che dal punto di vista della sinistra c’è stata: uno scivolamento verso posizioni anti-sistema di chiusura nazionalpopuliste. A rabbia e paura non si risponde con le statistiche, non siamo stati capaci di ascoltare; il Pd non è stato, temo non lo sia ancora, un canale aperto di comunicazione con la società italiana.
Che Pd vuole adesso?
Va rivoltato come un calzino, non mi interessano i nomi. Serve un Congresso per capire cosa fare e non un’assemblea di condominio in cui ognuno pensa a salvare i suoi millesimali.
Renzi ha perso, è finito?
Più che dimettersi cosa avrebbe dovuto fare?
Lei si definirebbe renziano?
Ho difficoltà a definirmi minnitiano, figuriamoci altro.
ilfattoquotidiano
Osservando l'espressione dei volti del club degli algidi mentre Matteo parlava, evidentemente le dimissioni non sono bastate. Rimane un problema di difficile gestione.
Quando è in difficoltà tira fuori la carta della relazione sentimentale.
Se da ministro dell'interno mi parli di un pezzo della sovranità in gioco ad Ostia, io che non sono mai stata da quelle parti, anche capitasse un'occasione di lavoro o vacanza, mi guarderei bene dall'andarci.
E se il giornale vicino al partito, più che sottolineare l'impegno della loro cronista, si serve di certe vicende per fare una vera e propria campagna contro i grillini, sul piano nazionale la paura non può che spingere verso la sponda leghista.
Anche da questi particolari si nota lo scollamento all'interno del PD.
E' nel DNA dei ministri dell'interno giocare sulla paura.
Paradossalmente Minniti, che non è animale da social, con la sua sintesi ed essenzialità risultava più terrorizzante di Alfano che, tirando fuori ogni volta la penna dal taschino per sottolineare l'efficacia delle espulsioni, ispirava più che altro un sorriso.
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