giovedì 21 dicembre 2017

Gli jihadisti e la comunicazione

I media dei network russi e quelli che sostengono i neocon, hanno creato attorno a Bilal Abdul Karim, così come hanno fatto con i White Helmets e Musa Alomar, il classico impianto a base di fake news che lo dipinge come qaedista o propagandista dei gruppi islamisti.
In realtà quello che il giornalista americano fa, nel contesto siriano, è dare voce a quei gruppi che vengono ignorati dai cosiddetti media tradizionali. E per realizzare ciò, deve per forza di cose accettare degli interventi che sono molto di parte. I gruppi come Hayat Tahrir Sham, che all'epoca di Nusra e supportato dall'emiro e dall'intelligence del Qatar, aveva iniziato un percorso di interazione con il mondo esterno, non solo con le interviste di Al Julani ma facendosi rappresentare da un portavoce che interloquiva in Inglese a nome di Jabhat Fateh Sham, non hanno saputo completare in maniera adeguata questa fase di apertura. Si concedono solo se gli si fa dire la loro versione, a tratti patinata, della realtà che li riguarda. Non riescono cioè ad andare oltre la contro-propaganda, per difendersi dalla propaganda negativa portata avanti dai governi interessati a trarre vantaggi dal conflitto in corso.
Anche Bilal si è in un certo senso adattato a questa tendenza. Molto probabilmente perchè altrimenti non avrebbe accesso ai personaggi di peso di vari gruppi.
Dovrebbe piuttosto convincerli che per rendere concreti i loro sforzi, con i quali non riusciranno a sconfiggere militarmente i russi che sono gli artefici delle vittorie di Assad, devono rendersi credibili rendendo noti al mondo intero anche i loro limiti e le problematiche che li affliggono.
E' l'unico modo per cambiare il bilanciamento ai tavoli di negoziato e fare sperare la Siria in un futuro migliore che sia diverso da quello con Assad o con delle opposizioni interessate solo alle sedie del potere.

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