lunedì 18 dicembre 2017

Dalla vallata del Pankisi

La pattuglia caucasica scesa in massa a combattere contro il dittatore siriano sin dall'inizio della rivoluzione, nelle sue varie componenti non ha mai brillato all'interno della galassia jihadista.
Ha prodotto molte individualità di peso, come Umar Shishani, ma non è mai riuscita ad imporre una sua visione o ha primeggiare tra i mujahedeen provenienti dalla regione.
Ciò è accaduto innanzitutto perché i caucasici non si sono mai curati dell'amalgama e anzi sono da sempre impegnati nella costruzione di un esercito in proprio. Sono rimasti ancorati a vecchie discussioni relative alla jihad casalinga e alla storia legata all'Unione Sovietica. Senza dimenticare inoltre, che non hanno mai potuto contare su finanziatori o sponsor governativi importanti che potessero consentire loro di imporre una linea politica.
Amir Salakhuddin Shishani (Allah abbia misericordia di lui) ha incarnato questo tipo di narrazione. Sceso in Siria come rappresentante dell'Emirato del Caucaso, fondò un gruppo arrivato a contare diverse migliaia di combattenti. Jaysh al Muhadjireen wal Ansar era composto per lo più da ceceni. Nel 2015 una corte presieduta da un giudice saudita lo accusò di non avere applicato la Sharia arrivando così quasi all'apostasia. Estromesso dalla formazione, ne fondò un altro che non ebbe altrettanta fortuna e ieri è stato ucciso dalle forze aeree russe. Jaysh al Muhadjireen venne in pratica smantellato. Molti dei fedelissimi di Amir Shishani (all'anagrafe Fayzullah Margoshivili) si unirono a Daesh e sauditi e siriani rimpiazzarono i caucasici.
A dispetto delle accuse russe, la valle georgiana del Pankisi non è fucina di terrorismo. Non interno almeno. La maggior parte è costituita da foreign fighters.
Caratterizzata da una forte tradizione sufi, l'area è passata indenne tra le guerre cecene e ha subito un lungo periodo di recessione economica. La disoccupazione e la povertà hanno costituito terreno fertile per Daesh.

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